A Gaza Sud la sanità è al limite: con gli aiuti entrano medicine per i feriti, ma non per i malati

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KHAN YUNIS — La pausa dai bombardamenti non allevia la disperazione della popolazione di Gaza. Certo, l’ingresso di carburante e bombole del gas ha fatto sì che almeno in questi giorni di tregua le condizioni nell’area a Sud della Striscia, dove sono evacuate un milione e mezzo di persone, siano lievemente migliorate: ma solo perché si era ormai arrivati allo stremo.

La situazione, in realtà, resta difficile. Ieri lo ha detto pure l’Organizzazione Mondiale della Sanità: se il sistema sanitario non verrà rimesso in piedi rapidamente, c’è il rischio che nelle prossime settimane muoiano a causa di malattie più persone di quelle uccise dalle azioni belliche degli israeliani.

L’affermazione dell’Oms si basa sulle valutazioni fatta dall’Unrwa – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi – nelle sue strutture, dove infezioni respiratorie e diarrea stanno aumentando esponenzialmente soprattutto fra bambini e neonati. I fattori scatenanti sono molti e certo il sovraffollamento e la scarsa igiene personale contribuiscono ad aggravare la situazione.

La stagione sempre più rigida e piovosa, che tanti non sono in grado di affrontare con abiti adeguati e tanto meno fra mura riscaldate, sta certamente contribuendo a far aumentare le malattie respiratorie, ma a queste contribuisce anche il grave inquinamento dell’aria. I bombardamenti hanno infatti liberato sostanze chimiche e polveri sottili d’amianto che tutti affrontano nella totale assenza di mascherine.

Qualcuno già dice che determineranno conseguenze gravi sulla salute della popolazione per gli anni a venire, ipotizzando un futuro di tumori e leucemie simili a quelli sviluppati dai soccorritori dopo il crollo delle Torri gemelle a New York.

I problemi intestinali sono invece legati all’acqua infetta che molti sono costretti a bere, al cibo scadente, all’impossibilità di lavarsi spesso le mani: e anche al fatto che ormai grandi e piccini si muovono fra cumuli di immondizia che, quando ve bene, vengono rimossi una sola volta alla settimana.

Sono mali che non sarebbero particolarmente difficili da trattare: ma mancano le medicine per farlo. Con gli aiuti umanitari entrano infatti soprattutto prodotti ospedalieri necessari a curare i feriti: antidolorifici, disinfettanti antibiotici (che a Nord ancora scarseggiano, tanto che, sempre l’Unrwa, parla di «bambini con ferite orrende che giacciono in parcheggi e giardini senza nulla che metta fine alle loro pene»). Ma a mancare, appunto, sono anche i medicinali da banco per affrontare mali diversamente insidiosi. E a rischio c’è anche chi soffre di malattie croniche.

Fra i 26 familiari che in questo momento convivono con chi vi scrive c’è ad esempio Yakub, 73 anni, il più anziano di noi: è diabetico ma ha ormai finito la sua scorta di insulina e non se ne trova più nemmeno al mercato nero. Alya, 63 anni, ha invece problemi cardiaci. Anche lei ha finito la scorta di medicine e non è più in grado di curarsi.

Un dramma che riguarda tanti: i malati di cancro, quelli con malattie autoimmuni e così via. L’isolamento cui è costretta Gaza, per queste persone che, lo ripeto, sono soprattutto anziani e bambini, rischia di trasformarsi in una sentenza di morte che prescinde dalle bombe. Che pure potrebbero riprendere a cadere molto presto.

Gli incidenti di ieri a Nord in violazione del cessate il fuoco, hanno fatto capire a tutti quanto la tregua resti fragilissima. «Le operazioni militari riprenderanno più violente di prima» lamentava ieri la gente per strada: «Arriveranno anche a Sud. E non ci sarà dove altro fuggire».

(testo raccolto da Anna Lombardi)

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