Attentato in Lituania, l’ex vice di Navalny colpito a martellate

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MOSCA – È un segnale inquietante. Leonid Volkov, ex braccio destro dell’oppositore Aleksej Navalny, è stato colpito a martellate a Vilnius, la capitale lituana dove vive in esilio come tutti i membri della Fondazione Anti-Corruzione, Fbk, dichiarata “estremista” e perciò fuori legge in Russia. E dove pensava di essere al sicuro. Hanno aspettato che rincasasse, hanno rotto il finestrino della sua auto, gli hanno spruzzato sugli occhi del gas lacrimogeno e hanno iniziato a colpirlo con un martello. Sua moglie, nonché sociologa di Fbk, Anna Birjukova, ha pubblicato foto di Volkov sanguinante e del finestrino in frantumi, mentre Kira Jarmish, portavoce di Fbk, ieri sera ha fatto sapere che «Leonid era a casa» in attesa di polizia e ambulanza. Un’aggressione che segue di meno di due settimane i funerali di Navalny, morto in carcere il 16 febbraio in circostanze tutte da chiarire.

Non è la prima volta che i membri di Fbk vengono presi di mira. Nel settembre 2017 Nikolaj Jashin fu colpito con una barra di ferro mentre era a capo del quartier generale moscovita della campagna elettorale di Navalny, che sperava di riuscire a candidarsi alle presidenziali. E quello stesso anno Aleksej rischiò l’occhio destro dopo che gli avevano lanciato addosso la zeljonka, un liquido antisettico verde usato come arma contro l’opposizione. Volkov è il primo membro di Fbk vittima di un attacco all’estero.

Esperto di informatica, ex deputato della Duma di Ekaterinburg, era stato a capo della campagna elettorale di Navalny come candidato sindaco di Mosca nel 2013 e come candidato presidente — respinto — nel 2018. In vista delle presidenziali di sei anni fa, aveva creato e guidato la rete di 45 uffici regionali di Fbk. Ed era stato sempre lui a programmare la piattaforma online per il Voto Intelligente che suggeriva di votare il candidato che aveva più probabilità di battere gli esponenti del partito al potere Russia Unita alle elezioni regionali del 2019 e alle parlamentari del 2021. Volkov vive all’estero già dal 2019: in patria è ricercato per almeno sette procedimenti penali a sfondo politico. L’aggressione contro di lui è un messaggio per tutti i collaboratori e familiari di Navalny.

Intanto in patria è iniziata una repressione postuma per gli omaggi alla memoria dell’oppositore. Un tribunale di Murmansk ha bollato come “simbolo estremista” una sua foto e condannato a sette giorni di carcere Marina-Viktoria Nagornykh che l’aveva appesa a un albero. E almeno quattro regioni hanno equiparato la semplice menzione del suo nome come “simbolo estremista e terrorista”. Come ha detto Dmitrij Anisimov, portavoce di Ovd-Info, l’Ong che monitora gli arresti politici, le forze di sicurezza non hanno effettuato arresti di massa il giorno del funerale «probabilmente per non creare un quadro troppo disumano che sarebbe sembrerebbe inadeguato ai sostenitori delle autorità», ma hanno filmato tutti i presenti che potrebbero presto venire identificati grazie ai sofisticati strumenti di riconoscimento facciale e perseguiti. È quello che è successo a quattro moscoviti che avevano deposto fiori in memoria di Navalny all’indomani della sua morte e a una donna che aveva pronunciato lo slogan ucraino “Gloria agli eroi” durante il funerale. Ed è stato persino chiuso il Museo delle marionette sull’Arbat, la storica via pedonale di Mosca, e fermato per due giorni il suo proprietario perché il primo marzo aveva chiuso i battenti avvisando che tutto lo staff era via per «un funerale».

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