Autonomia, la Regione chiede e lo Stato risponde. Come cambia la legge-bandiera della Lega domani al voto in Senato

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Domani pomeriggio voto finale al Senato dell’autonomia differenziata, che è la legge-bandiera della Lega. È il primo e importante via libera. Poi passa alla Camera. Ci saranno correzioni? Anche prevedendo una terza lettura, Matteo Salvini e Roberto Calderoli – il ministro-caterpillar che ne ha fatto la sua personale scommessa politica – contano nell’approvazione definitiva prima delle europee.

Cos’è l’autonomia differenziata

La missione è decentralizzare: dare alle Regioni la possibilità di decidere su ben 23 materie. Sono quelle elencate nell’articolo 117 della Costituzione come materie di legislazione concorrente più 3 di legislazione cosiddetta esclusiva dello Stato.

La Costituzione non si tocca

Ma non si tocca la Carta. La porta aperta al federalismo così come Roberto Calderoli, il ministro leghista, l’ha disegnato, sta nel terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Quindi si può andare veloci, perché l’autonomia differenziata è una legge ordinaria (non come il premierato, che è una riforma costituzionale e ha bisogno di un lungo iter parlamentare). In 10 articoli (l’undicesimo riguarda le disposizioni transitorie) però, il ddl Calderoli rivoluziona l’assetto istituzionale.

La Regione chiede e lo Stato risponde

Le Regioni avranno le competenze che chiedono sulla base di intese con lo Stato. Regioni con una maggiore capacità di spesa sono avvantaggiate. Ma, dice la legge, i diritti essenziali vanno garantiti.

I Livelli essenziali di prestazione

Il federalismo – che è il core business della Lega, passata dalla secessione alla devoluzione all’autonomia – giunge a un approdo. È tuttavia accompagnato da un importante tassello: la definizione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione. Su tutto il territorio nazionale, qualsiasi sia la Regione, i cittadini italiani hanno uguali diritti e la garanzia di analoghi servizi e prestazioni. La consapevolezza è che l’autonomia possa creare ulteriori iniquità, accentuando quelle già esistenti.

Il nodo dei costi

Maggiori sono le garanzie contro i divari, maggiori dovrebbero essere le risorse a disposizione. Le condizioni poste da Fratelli d’Italia prevedono che non si possa devolvere alcuna materia a una Regione che ne faccia richiesta, se nel trasferimento di funzioni e risorse non se ne prevedano di analoghe per tutte le altre Regioni. I Lep quindi possono costare davvero tanto. Per fare un esempio. Nel 2021 il costo dei Lep sugli asili nido è stato quantificato in oltre un miliardo all’anno. E poi i divari territoriali si riducono solo dando di più a chi ha meno, migliorando le prestazioni dei servizi nei territori che sono indietro. Il rischio di sclerotizzare le diseguaglianze e creare ulteriori iniquità è concreto.

I tempi

Per entrare a regime i tempi non sembrano veloci. Il governo si dà 24 mesi, quindi due anni di tempo, dopo l’approvazione dell’autonomia per stabilire i Lep. E all’articolo 3 sono elencate le materie (15) che non si possono devolvere se prima non sono definiti i Lep.

Da dove si comincia

L’articolo 1, che indica le finalità dell’autonomia, è stato in parte riscritto per sottolineare, su pressing dei meloniani, la coesione e l’unità della nazione e, al tempo stesso, gli scopi dell’autonomia. Si legge: “La presente legge, nel rispetto dell’unità nazionale e al fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, nel rispetto altresì dei principi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale, anche con riferimento all’insularità, nonché dei principi di di indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo e per favorire la semplificazione e l’accelerazione delle procedure, la responsabilità e la trasparenza e la distribuzione delle competenze idonea ad assicurare il pieno rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (…) definisce i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.

Come si fanno le intese?

Le intese – inizialmente pensate tra il presidente del consiglio dei ministri e i governatori, quindi tra esecutivi – richiedono nell’ultima versione del testo, un decreto legislativo su proposta del premier e del ministro per gli Affari regionali di concerto con i ministri competenti per le materie chieste. Tuttavia l’ultima parola può spettare sempre a un decreto del presidente del consiglio dei ministri.

Quante materie le Regioni possono chiedere?

Sono 23 le materie che le Regioni possono avocare a sé, tra queste commercio con l’estero, istruzione, tutela e sicurezza del lavoro, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile, governo del territorio, porti, aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionalr dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

Cosa si trasferisce

Vengono trasferite funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai Lep (di cui si disciplina all’articolo 3 della legge), in base alle singole intese, solo dopo la determinazione dei Lep e dei relativi costi e fabbisogni standard.

La durata

La durata di una intesa è stabilita nell’intesa stessa, ma non oltre i dieci anni, poi va ricontrattata. Nell’ultima versione del testo, lo Stato può revocare l’intesa.

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