Bruxelles respinge le richieste di Roma su migranti, Balcani e Patto di stabilità

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BRUXELLES – Migranti, riforma del Patto di stabilità, bilancio dell’Unione europea e Balcani occidentali. Sono le quattro spine che stanno pungendo dolorosamente il governo Meloni. E che rischiano di trasformare il Consiglio europeo che prende il via oggi in un pesante altolà nei confronti della premier italiana. Perché al di là delle parole formali pronunciate a Bruxelles e dei toni accesi che la leader di Fratelli d’Italia ha usato in Parlamento, la sostanza dei fatti sta andando nella direzione opposta. E il sacco “meloniano” appare desolantemente vuoto.

Meloni minaccia il veto sul Patto di stabilità. E intanto si prepara alla manovra correttiva in estate

Il primo punto all’ordine del giorno del summit, infatti, è l’Ucraina. Con due questioni connesse: l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Unione e la concessione di altri complessivi 50 miliardi di euro a Kiev. L’Italia è senza dubbio a favore della proposta della Commissione europea di iniziare subito il percorso di ingresso nell’Ue e di trasferire rapidamente gli aiuti economici. Ma chiede contestualmente di seguire una linea di analoga accondiscendenza nei confronti dei Balcani occidentali. Paesi geograficamente molto vicini a Roma: una loro definitiva stabilizzazione costituisce un elemento di tranquillità per il nostro Paese. In particolare la preoccupazione di Roma si concentra sulla Bosnia. Su questo punto è stata però già esplicitata la netta contrarietà di alcuni partner, a cominciare dall’Olanda e dall’Austria. Che non intendono prendere in considerazione le richieste di Palazzo Chigi. Un braccio di ferro che potrebbe favorire la posizione di assoluta opposizione dell’Ungheria, guidata dal sovranista Viktor Orbán, che non vuole dare il suo via libera all’adesione ucraina. Per ora il premier di Budapest si presenta fermo su questo orientamento, anche se la decisione della Commissione di sbloccargli fondi per oltre 10 miliardi potrebbe indurlo a rivedere il suo no.

In questo quadro i leader oggi dovranno discutere del nuovo Bilancio dell’Ue. Inizialmente la Commissione aveva chiesto risorse “fresche” per 66 miliardi. La proposta avanzata nelle ultime ore dal presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, le ha ridotte a 22,5. Ma di questi ben 17 sono destinati al pacchetto ucraino. Sostanzialmente ne rimangono, se va bene, 5,5 in quattro anni per aumentare tutti gli altri capitoli di spesa. In questo contesto vanno anche rifinanziati gli effetti del Recovery Fund. Il debito comune emesso per la prima volta dall’Ue, a causa dei rialzi dei tassi sta costando molto di più: si tratta di circa 5 miliardi da recuperare in qualche modo. Tedeschi e cosiddetti Paesi “frugali” del nord Europa stanno già alzando le barricate. Sostengono che persino i 22,5 miliardi proposti da Michel siano troppi: «Bastano i 17 solo per l’Ucraina». L’atteggiamento del Cancelliere di Berlino è semplice: «Convincetemi che davvero servono altre risorse. A me non sembra». Conseguenza: tutte le altre poste vanno “coperte” con tagli, un po’ come accade con la legge di bilancio italiana. E l’effetto si ritorce in primo luogo sui soldi per combattere la lotta alla migrazione illegale. Ossia la bandiera “sventolata” da Meloni. Risultato: i fondi impiegati su questo dossier sono stati ridotti del 30 per cento, da 12 a 8,6 miliardi. Sebbene il governo italiano canti vittoria per le lettere e le parole pronunciate da Ursula von der Leyen, nel concreto non sta ottenendo niente. Anche perché questi otto miliardi sono una cifra complessiva quadriennale e che riguarda tutta l’emergenza migratoria e non solo il Mediterraneo e il nord Africa. Ossia le aree che maggiormente incidono sul numero di approdi in Italia. Il governo Meloni ha fatto sapere che anche gli 8,6 miliardi possono andare. Eppure si tratta di un passo indietro.

Infine il Patto di stabilità. Quasi tutti i leader, a cominciare dallo stesso Olaf Scholz, hanno fatto sapere che non intendono discutere della riforma al Consiglio europeo. L’Italia, dopo l’ultimo Ecofin (la riunione dei ministri finanziari) aveva prospettato proprio questa possibilità. Non solo. L’Ecofin straordinario del 18 dicembre non si terrà in presenza probabilmente ma in videoconferenza. Segno che la sostanza della riforma non è più in discussione. L’Italia si ritroverà davanti alla formulazione che la scorsa settimana non aveva gradito. Sempre che la Germania alla fine non chieda un ulteriore inasprimento delle regole su deficit e debito. Le pive della Meloni sono rimaste nel sacco e l’idea di usare la ratifica del Mes come oggetto di baratto o di ricatto ha prodotto ben pochi risultati.

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