Busia “Tanti soldi in ballo, i controlli sono il solo antidoto: tagliarli non riduce i tempi”

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ROMA — «I controlli preventivi a carattere collaborativo sono il vero antidoto alla paura della firma, insieme alla chiarezza delle norme e al rafforzamento della pubblica amministrazione». Giuseppe Busia, presidente dell’Anac, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, guarda con un po’ di preoccupazione alla fase di “messa a terra” del Pnrr che s’è ormai avviata da qualche mese: «Quando arrivano tanti soldi da spendere in tempi rapidi, si rischia non solo che finiscano in mani sbagliate, ma anche che vengano sprecati», rileva. Ma sottolinea anche i passi in avanti in materia di digitalizzazione degli appalti.

Presidente, l’Italia continua a oscillare tra la preoccupazione per i rischi legati alla corruzione – pochi giorni fa le ultime norme in materia di prevenzione della Ragioneria dello Stato – e il timore dell’eccesso di controlli: si studiano norme per ridurre la responsabilità dei funzionari. Siamo abbastanza attrezzati perché i fondi del Pnrr non vadano usati in modo illegale?

«I controlli non solo sono indispensabili e parte essenziale della stessa architettura del Pnrr, ma – specie se svolti in via preventiva e collaborativa – fanno risparmiare tempo e denaro, anche aiutando a superare la cosiddetta paura della firma. Noi lo facciamo attraverso la vigilanza collaborativa, che attiviamo su richiesta delle stesse amministrazioni per gli appalti più rilevanti: verifichiamo gli atti di gara e così il contenzioso viene quasi azzerato. Perché i controlli funzionino, è fondamentale che sia preservata la piena indipendenza di tutte le autorità incaricate di effettuarli: vale per noi come per la Corte dei conti, con la quale abbiamo un’ottima collaborazione».

Non serve quindi allentare i controlli per velocizzare il Pnrr?

«Bisogna evitare di tagliare pezzi di procedura, ridurre la fase della gara, che occupa una parte minimale del procedimento: piuttosto bisogna scrivere le leggi in modo chiaro, per evitare preoccupazioni e paure. La paura in molti casi deriva anche dalla scarsezza di mezzi: è fondamentale la qualificazione delle stazioni appaltanti, disporre di una organizzazione sufficiente a supportare lo svolgimento delle gare».

Però la qualificazione delle stazioni appaltanti (gli enti pubblici ai quali vengono affidate le gare di appalto) è rimasta a metà strada.

«La riforma delle stazioni appaltanti è pienamente operativa, anche se il codice la ha limitata ai lavori superiori a 500 mila euro. Siamo scesi dalle oltre 20 mila originarie a poco più di 3 mila attuali, numero non destinato a crescere molto. Paradossalmente, però, per il Pnrr si è deciso di non richiedere la qualificazione, temendo rallentamenti alle procedure. È invece interesse di tutti investire sul rafforzamento e la qualificazione delle stazioni appaltanti: non solo per ridurre i rischi di corruzione, ma perché è la via per fare più in fretta, risparmiare denaro pubblico e offrire migliori servizi ai cittadini».

Quali altri rischi vede per l’attuazione del Pnrr?

«Con gli appalti, stiamo entrando nella fase più difficile, perché dalle fasi di progettazione o gara, si passa ora all’esecuzione delle opere. Parallelamente occorrerà completare diverse riforme delicate, come quelle legate alla concorrenza, o alla riduzione dei tempi del contenzioso amministrativo e civile: tutte sfide particolarmente impegnative».

Quando è entrato in vigore il nuovo codice sugli appalti lei ha espresso diverse perplessità. Sono state superate?

«Grazie alla collaborazione col Consiglio di Stato, nel codice avevamo inserito le parti più rilevanti, relative alla completa digitalizzazione degli affidamenti, che garantisce semplificazione per stazioni appaltanti e imprese ed allo stesso tempo aumenta trasparenza e controllabilità. Purtroppo, altre disposizioni hanno fatto passi indietro per quanto attiene alla concorrenza, con la rinuncia alle verifiche preventive sugli affidamenti in house e, soprattutto, con l’aumento degli affidamenti diretti e la minore trasparenza per gli appalti di lavori fino a 5 milioni di euro. Recentemente, tuttavia, anche se solo con una circolare interpretativa e non con un intervento normativo, lo stesso governo è tornato indietro, dandoci almeno parzialmente ragione».

Il controllo dell’Anac non è limitato alla trasparenza e alla correttezza delle gare, ma anche al rispetto delle norme sull’eguaglianza generazionale e di genere. Queste norme stanno funzionando?

«Purtroppo, i dati raccolti fino a questo momento non sono ancora soddisfacenti. Per questo è fondamentale continuare ad usare i contratti pubblici come una leva per incrementare l’occupazione femminile e giovanile, oltre che per garantire inclusione sociale. Non vale solo per il Pnrr, che lo prevede come requisito, ma deve diventare la regola generale. Certo, sarebbe stato eccessivo pretendere che le imprese che vincono le gare licenziassero i loro dipendenti uomini per assumere subito giovani e donne, ma dobbiamo spingere perché riequilibrino con le nuove assunzioni. Il lavoro da fare è ancora molto, ma è l’unica via per garantirci un futuro di crescita economica e sociale».

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