Che farà Mario Draghi con Immuni

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Chissà che farà Mario Draghi con Immuni. Chissà se l’ha mai scaricata. Vi ricordate Immuni? La app che avrebbe dovuto contribuire a fermare il coronavirus. Quella che Salvini e la Meloni dicevano di non scaricare perché altrimenti rischiavamo di essere spiati dai cinesi (non aveva alcun senso logico ma alcuni se la sono bevuta). A onor del vero neanche il ministro della Salute Speranza ci ha mai creduto davvero in questa app: quand’è l’ultima volta che l’ha nominata? Deve essere stato l’anno scorso. Eppure Immuni era stata sviluppata a tempo di record e gratis da una startup italiana ed aveva passato diversi test internazionali con il massimo dei voti. Mentre altri paesi europei annaspavano, noi eravamo un modello. Purtroppo però Immuni non è mai decollata, nonostante sia arrivata a circa 10 milioni di download che non sono pochissimi. Il fatto è che a un certo punto, quando è arrivata la seconda ondata, e i contagi sono di nuovo schizzati, ci si è accorti che non funzionava: quando un test era positivo infatti, i medici generalmente non inserivano i dati sulla app e nessuno veniva avvertito del possibile contatto. Allora in un dpcm è stato ribadito solennemente che inserire quei dati per il personale medico era obbligatorio. Ma non è cambiato nulla. Qualcuno allora ha fatto presente che dietro la app mancava un sistema che assistesse le persone, tra test e quarantene: mancava un call center. E in un decreto è stato stanziato un milione di euro per fare un call center. Ecco l’ultima volta in cui ho sentito parlare di Immuni è stato quando il Commissario al Covid ha detto che il call center era imminente: prima di Natale. Ma si sa il Covid ha cambiato il senso del tempo. 

Perché riparlarne oggi? Perché il fallimento di Immuni era mitigato dal fatto che non è che negli altri paesi queste app di tracciamento dei contatti stessero facendo faville, anzi: ovunque ti giravi era un mezzo disastro. Così credevamo. Perché adesso arrivano i risultati di una ricerca scientifica, la prima seria ricerca scientifica sull’efficacia delle app di contact tracing, e viene fuori che nel Regno Unito funziona. Serve. Fra la fine di settembre, poco dopo essere stata rilasciata, e la fine di dicembre, la app NHS Covid-19 ha mandato in Inghilterra e in Galles un milione e 700 mila notifiche prevenendo circa 600 mila contagi. “E’ servita a spezzare la catena del virus e a proteggere le persone e le rispettive comunità”. Come è stato possibile? Partiamo dal numero di utenti: a Natale erano quasi 21 milioni: visto che gli abitanti di Inghilterra e Galles sono circa di stessi dell’Italia, lì è stata scaricata dal doppio delle persone nella metà del tempo (nel Regno Unito la prima versione della app non funzionava ed è stata riprogettata daccapo con criteri totalmente diversi soprattutto dal punto di vista della privacy). Insomma, in Inghilterra e in Galles il 56 per cento delle persone con uno smartphone hanno scaricato la app di contact tracing: non era un miraggio arrivarci, era un traguardo realistico, evidentemente. Perché questa differenza con l’Italia? La app NHS Covid 19 è simile a Immuni dal punto di vista tecnologico (come la nostra ha adottato la soluzione proposta da Apple e Google anche se con qualche variante), ma ha alcune importanti differenze: la prima, pur proteggendo la privacy degli utenti, chiede loro di registrare l’inizio del codice postale per poter sapere in tempo reale se un certo quartiere ha un focolaio; la seconda, consente di fare check-in quando si entra in un locale pubblico (quel dato resta solo sullo smartphone), in modo da scoprire se quel locale è stato frequentato da una persona che successivamente ha scoperto di essere positiva; la terza, permette di interrogarla quando si hanno sintomi sospetti e di ricevere una indicazione sul da farsi; la quarta, forse la più importante, in caso di sintomi sospetti, permette di prenotare subito un test; la quinta, il risultato del test finisce sulla app e l’utente può decidere se mandare la segnalazione anonima ai suoi contatti e se lo fa, la app li avvisa di isolarsi e fa partire un conto alla rovescia. 

Perché è importante riparlare adesso di Immuni? Per due ragioni: la prima è che la pandemia non è stata ancora battuta e occorre rallentare la catena dei contagi in attesa che tutti facciano il vaccino. La seconda guarda più avanti: questa tecnologia esiste e, ora lo sappiamo, funziona. Una app di contact tracing funzionante deve far parte dell’arsenale di strumenti del piano pandemico con cui un paese combatte una pandemia nel ventunesimo secolo. Insomma, qualcuno ripeschi dal cestino del ministero della Salute la app Immuni e veda cosa si può fare per renderla finalmente utile. 

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