Con Navalnaya in fila al seggio di Berlino. Yulia sfida il regime russo ed entra in ambasciata

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BERLINO — Yulia stringe la mano a una ragazza in lacrime, solleva le braccia per salutare i suoi sostenitori dal lato opposto della strada, alza il mento per farsi vedere meglio dalle decine di fotografi che la assediano. E sorride. Sorride spesso. Forse neanche la vedova di Aleksej Navalny si aspettava di vedere tanta folla per un voto-farsa. Decine di cittadini russi interrompono la sua paziente attesa, il suo lento avanzamento nella coda verso l’ambasciata russa, si vogliono fare un selfie con lei, la ringraziano – «spasiba» – le sussurrano parole di incoraggiamento e di sostegno.

Solo alla fine di una lunga e tesissima giornata, Yulia Navalnaya consegnerà ai microfoni della Rai parole di fredda rabbia: «Per favore, smettetela di chiedermi se ho un messaggio per Putin. Non ci può essere un dialogo con Putin. Lui è un gangster, è la persona che ha trascinato il mio Paese in guerra. Non ho messaggi per lui».

Era stato proprio Navalny, prima del suo assassinio, a chiedere agli invisibili di diventare visibili, agli oppositori di Putin di darsi appuntamento a mezzogiorno davanti ai seggi delle elezioni presidenziali per unirsi, per contarsi. Alla vigilia del voto, Yulia aveva rinnovato l’appello a partecipare al “Mezzogiorno contro Putin”. E qui a Berlino sono venuti circa in ottocento, secondo la polizia, per dare un segnale di dissenso in una giornata dall’epilogo già scritto. Altri duemila si sono messi in fila per votare, molti non erano neanche sicuri di raggiungere l’ingresso in tempo ma volevano esserci.

La commozione è enorme, sia nella fila che circonda Yulia come un grande abbraccio, sia dall’altra parte della strada, tra i manifestanti. La notizia inattesa dell’apparizione della vedova del dissidente russo morto in un carcere di massima sicurezza a metà febbraio si è diffusa come un fuoco, e tanti gridano «Yulia, Yulia», «Navalny»: sventolano la bandiera ucraina, certo, ma soprattutto quella blu e bianca (senza il rosso) della Russia del futuro, di un Paese liberato dal tiranno, quella per cui continua a battersi Yulia.

L’incantesimo si spezza per una manciata di minuti a metà pomeriggio: un pugno di elettori di Putin le si avvicina per gridarle «stupida», «non sei russa», per riempirla di insulti. Dopo un breve parapiglia con un paio di ragazzi che la proteggono, la tensione si scioglie. E ricomincia a muoversi una coda che somiglia sempre di più a una silenziosa e indignata processione. A Unter den Linden, il leggendario boulevard che una volta affacciava sul muro, sulla via dei tigli che ospita l’imponente ambasciata russa, fa un freddo pungente.

E Yulia Navalnaya avanza rigorosa, vestita di blu-grigio e di nero, i colori del lutto, ma con un mazzo di fiori in mano. È affiancata dalla sua portavoce, Kyra Yarnish, procede lentamente verso il portone che potrebbe risucchiarla nell’inferno. Tutti si chiedono se riemergerà dall’ambasciata, se i russi la arresteranno. Sulla piazza di fronte, mescolato agli oppositori, c’è anche Mikhail Khodorkovsky. Ma non attraverserà mai la strada, non vuole rischiare di finire in manette.

Intercettiamo nella folla il coordinatore per la Germania di #FreeNavalny, l’organizzazione che continua a portare avanti la battaglia del dissidente assassinato, Eugene Nasyrov. Anche per lui l’arrivo di Yulia Navalny è stato una sorpresa, racconta, «ma la sua presenza qui è fondamentale. Per l’intera opposizione a Putin è importantissimo che Yulia Navalnaya non abbia paura di esporsi, soprattutto in questo giorno in cui milioni di russi sono chiamati a votare per un’elezione che è una buffonata». Il risultato «sarà ovviamente la stravittoria di Putin, ma la cosa più importante è il tarlo del dubbio, il fatto che nessuno creda davvero a questo voto, che sempre più cittadini russi capiscano che è una colossale truffa».

L’umore di Yulia? «È convinta, vuole combattere, vuole portare avanti la battaglia di Aleksej contro Putin in tutti modi. Noi non ci arrendiamo». Su Telegram il braccio destro di Navalny, Leonid Volkov, commenta in serata il risultato delle elezioni: «Le percentuali fake di Putin non hanno nulla a che fare con la realtà, ovviamente. Non vale la pena discuterne». Anche lui ha assaggiato la violenza del Cremlino: in Lituania, dove vive, qualche giorno fa lo hanno preso a martellate per strada.

Nel frattempo si sono fatte quasi le sei, e dopo ore di attesa vediamo Yulia infilarsi nell’ingresso dell’ambasciata russa. Fuori cala il silenzio, tutti trattengono il fiato. Passano cinque interminabili minuti. Quando Yulia appare all’uscita, un applauso fragoroso la accoglie: è un sospiro di sollievo collettivo. «Yulia, siamo con te», urla una ragazza con un cartello contro Putin. Una selva di telecamere è già pronta a registrare le parole della vedova di Navalny. «Voglio ringraziare le migliaia di persone che si sono messe in fila», scandisce in russo.

E sulla scheda elettorale dove sono scritti solo i nomi di Putin e dei candidati autorizzati dal Cremlino a sfidare il tiranno, Yulia grida di aver scritto un altro nome, il suo, ma anche quello del marito assassinato: «Navalny». Un nome che si vedrà solo nelle piazze, in questa insorgenza collettiva e globale, che non emergerà mai alla conta ufficiale. Ma è un nome che esiste, che resiste, e che non si arrenderà.

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