Concessioni balneari: anche scogli, porti e aree industriali per aggirare la Bolkenstein. Quei calcoli farlocchi della destra che fanno lievitare le spiagge libere a quota 67%

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Si sono inventati di tutto pur di cambiare la geografia del nostro Paese e dimostrare all’Europa che le spiagge in mano ai privati sono poche rispetto a quel che la natura ha donato all’Italia. Secondo il documento consegnato dal governo Meloni alla Commissione europea, dopo quasi nove mesi di lavoro di un folto tavolo interministeriale insediatosi a Palazzo Chigi, le spiagge libere sono ancora il 67 per cento e quindi non c’è bisogno di rispettare la direttiva Bolkestein che impone bandi pubblici per le concessioni.

Ma come si è arrivati a questa cifra? A esempio si scopre che il calcolo delle spiagge non occupate da privati è stato fatto non in chilometri lineari, ma in chilometri quadrati; oppure che nel computo sono stati inseriti tratti “inaccessibili” per stessa ammissione del tavolo ma che potrebbero diventarci non si capisce come. E ancora, veniamo a sapere che ci sono tante aree libere sugli scogli perché in Italia si usano molto i solarium: e nel documento inviato all’Ue vengono allegate foto che ritraggono solarium su rocce. Come dire: “Noi sappiamo sfruttare gli scogli”.

Ma c’è di più: la percentuale di costa libera viene calcolata dal governo tenendo comunque dentro nel numero totale posto alla base del calcolo anche “porti commerciali, aree industriali, aree marine protette e aviosuperfici”. Un paradosso. “Per difendere la lobby dei balneari si danno in concessione le spiagge oggi libere facendo dei trucchi che nemmeno alle scuole elementari avrebbero mai immaginato di fare”, dice il deputato di Alleanza verdi e sinistra, Angelo Bonelli, che dopo una richiesta di accesso agli atti ha ottenuto il documento inviato a Bruxelles (e bocciato).

Nel documento si fa una premessa che già è singolare. E cioè che non si hanno dati certi sui chilometri lineari di costa, che secondo il Portale del mare sarebbero comunque 11 mila (3 mila in più, secondo gli ambientalisti, di quelli davvero fruibili per fare un bagno come scritto da Gian Antonio Stella sul Corriere): quindi “il tavolo ha ritenuto di utilizzare come misura maggiormente significativa i metri quadrati e non il dato lineare, in quanto tale criterio rappresenta più fedelmente la fotografia della risorsa effettivamente libera o occupata”. E qui sta il vero primo trucco: parlando di chilometri quadrati, rispetto a quelli lineari, si diluisce notevolmente la presenza di concessioni private. Ma tant’è, secondo questo calcolo oggi in Italia ci sono 381 mila chilometri di aree demaniali marittime (ad esclusioni di aree militari e aree secretate).

Quelle occupate, secondo il documento di Palazzo Chigi, sarebbero “solo” 127 mila chilometri, appena il 33 per cento del totale. L’Italia insomma è un paradiso naturalistico ovunque. E quindi c’è una grande abbondanza di spiagge libere da poter assegnare. Ma spulciando il documento si scopre che tra le aree di costa considerate libere ci sono anche quelle “di minore accessibilità per condizioni naturali, potendo essere interessate da investimenti di riqualificazione tali da renderle attrattive per lo sviluppo di nuove attività economiche”. Insomma, luoghi oggi inaccessibili da chiunque che per magia potrebbero diventare fruibili.

Inoltre il computo non ha “riguardato unicamente le parti sabbiose, ma è da includersi anche la parte di costa rocciosa, poiché su quest’ultima è possibile installare strutture turistico-ricreative, e inoltre in alcuni casi opere a difesa della costa sono state concretamente utilizzate a fini turistico ricettivi”. Quindi anche i frangiflutti sono stati considerati nel computo? Pare proprio di sì, a leggere il documento. Letti questi numeri, e come sono stati elaborati, da Bruxelles hanno risposto in maniera quasi piccata: “In primo luogo, tale percentuale del 33 per cento è calcolata rispetto al totale dell’area demaniale, solo “al netto di aree militari e secretate”. Pertanto, il calcolo di tale percentuale non sembra assumere come base di riferimento le aree demaniali effettivamente ed attualmente “disponibili” in capo ai comuni per i servizi di ‘concessione balneare”.

Continua poi la Commissione Ue, dando 60 giorni di tempo per rispondete ai rilievi e rispettare la Bolkestein: “Inoltre, si indica che “il totale delle aviosuperfici, il totale dei porti con funzioni commerciali, il totale delle aree industriali relative ad impianti petroliferi, industriali e di produzione di energia, le aree marine protette e parchi nazionali” (aree che, a quanto risulta alla Commissione, non sono e non saranno soggette a ‘concessioni balneari’) non sono stati esclusi dal totale di riferimento delle “aree disponibili”, ma sono stati inclusi nel calcolo che ha portato al suddetto 33 per cento”. E conclude: “Alla luce di quanto precede, risulta che i risultati dei lavori del ‘Tavolo tecnico’ non siano idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di ‘concessioni balneari’”.

Su tutta questa storia il deputato Bonelli chiederà al governo di riferire in Aula: “La strategia di Giorgia Meloni per non applicare la Bolkestein sugli stabilimenti balneari è quella di andare a gara per dare nuove concessioni demaniali nelle ultime spiagge e tratti di costa rimasti liberi ed integri dando il via libera alla loro privatizzazione e cementificazione – dice l’esponente di Avs – È un vero e proprio assalto che va fermato perché cambierebbe irreversibilmente il paesaggio e la morfologia dei nostri litorali. Meloni tutela i privilegi di chi come la ministra Daniela Santanchè e Flavio Briatore hanno in concessione dallo Stato il Twiga per 20 mila euro all’anno ma fatturano 10 milioni di euro. È lo scandalo di un settore che fattura 10 miliardi di euro all’anno ma versa allo Stato per le concessioni demaniali solo 110 milioni”.

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