Ece Temelkuran: “Erdogan governa con la paura e fa campagna con i deepfake, queste elezioni sono una sfida epocale per la Turchia”

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Se tutto può diventare vero, nulla più lo è e in questo limbo della verità “si annida l’autoritarismo”. Ece Temelkuran è una delle più brillanti scrittrici turche, per anni notista politica di grande seguito, ha scritto per testate come Milliyet e Habertürk, senza mai risparmiare critiche alle politiche del presidente Erdogan – dalla questione curda alle repressione delle proteste di Gezi Park – prima di lasciare il Paese, nel 2016, dopo il tentato colpo di Stato per sfuggire alla repressione che ne è seguita, come altri intellettuali della sua generazione. È stata tre le prime a mettere in guardia l’Europa sull’involuzione autoritaria della Turchia, che il 14 maggio affronterà un test politico decisivo: per la prima volta Erdogan è testa a testa nei sondaggi con il suo sfidante, Kemal Kilicdaroglu. Il 12 maggio sarà lei a inaugurare il festival della Fondazione Feltrinelli “Che Storia”.

Temelkuran, in Turchia sono giorni di manifestazioni e comizi, due schieramenti politici si confrontano liberamente: una normale dialettica democratica, si direbbe, non certo una ditattura.
“In Europa molti pensano che i regimi nascano con i “cattivi” che arrivano al potere picchiando gli oppositori e cambiando la realtà in una notte. Le cose oggi sono diverse. I poteri autoritari si nutrono della confusione, della capacità di diluire la verità sostituendola con il falso. In questo, il mio Paese è una lezione per l’Europa”.

Quale?
“Non siamo pronti a decifrare i nuovi autoritarismi. La verità di per sé è molto potente, ma quando incrocia la confusione, l’esitazione e anche una certa compiacenza dei cittadini, diventa sfocata ed è il momento in cui viene sostituita dalle bugie. I poteri autoritari creano confusione usando i social media, i deep fake e altri strumenti high tech ed è così facile e pervasiva che lascia da sola la verità, ridicolizzando coloro che la difendono”.

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Da sempre il potere cerca di controllare il discorso pubblico, è una dinamica antica quando la politica.
“Ma se controlli il 95% dei media mainstream una palese menzogna può essere trasformata in verità nel giro di una notte. Poco tempo fa il ministro dell’Interno turco ha detto che le persone Lgbtq sposano gli animali e le persone Lgbtq si sono trovate a dover provare che non stanno veramente sposando gli animali. In una recente manifestazione a Istanbul, oceanica, Erdogan ha mostrato un video editato in cui membri del Pkk (il partito dei lavoratori curdo considerato organizzazione terroristica da Turchia, Usa e Ue, ndr) applaudivano Kilicdaroglu. Ovviamente non era vero”.

Erdogan ha anche accusato Kilicdaroglu di essere un “ubriacone” e l’oppsizione di “essere pro-Lgbtq” come fosse un’offesa. Perché lo fa?
“Potremmo dare diverse risposte politiche e psicologiche, ma di base lo fa perché può farlo, nessuno lo ferma. Non ci sono check and balances. Due giorni fa una manifestazione dell’opposizione in cui doveva parlare il sindaco Imamoglu, a Erzurum, è stata attaccata con le pietre, ci sono stati feriti, e subito dopo i sostenitori del presidente Erdogan, ministri e spin doctor compresi, si sono riversati sui social affermando che fosse un atto contro il loro partito, l’Akp. Quando la realtà di fronte ai tuoi occhi è così offuscata, cominci a dubitarne. Ancora una volta è la confusione la chiave”.

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In Turchia tutti definiscono queste elezioni storiche. Qual è la posta in gioco?
“La scelta tra autoritarismo e democrazia, certo, ma nel profondo è uno scontro tra amore e paura. Erdogan mantiene il potere usando la politica della paura. Dall’altro lato c’è una coalizione molto eterogenea, fatta di forze politiche diverse che però hanno deciso di “amarsi” e di tollerarsi per sbarazzarsi della paura”.

Kilicdaroglu, il leader dell’opposizione, viene da molte sconfitte elettorali. Questa volta ha una chance?
“Ha sorpreso molti costruendo due narrative, una molto seria, di critica al governo e l’altra più giocosa che si fa beffe dell’autocrate. In uno dei suoi recenti video Twitter dice poche frasi in pochi secondi: ‘Qualunque cosa vi succeda, è colpa di Erdogan. Buonanotte’. E sorride”.

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Un’uscita chiaramente ironica che non genera tensione.
“L’opposizione sta usando quella che definisco una strategia dell'”amore radicale”, usata per la prima volta durante le elezioni locali del 2019 che ha consentito a Imamoglu e ad altri sindaci di dell’opposizione di vincere in grandi città come Istanbul e Ankara: critica il leader avversario ma accoglie i suoi sostenitori. Non promette vendetta in caso di vittoria ma solo giustizia. Credo sia la politica del Secolo, una lezione per chiunque nel mondo si trovi a lottare contro l’autoritarismo”.

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L’amore al potere.
“Fondamentale, insieme all’ironia. La Turchia è un Paese profondamente diviso e l’unica cosa saggia è mostrare alle persone che c’è vita oltre la polarizzazione. La rabbia alimenta solo i fascismi”.

Lei fa parte di una generazione di scrittrici che non ha avuto remore a criticare il potere. Che ruolo stanno avendo le donne in questa campagna elettorale?
“I giovani saranno determinanti e le giovani donne ancora di più: sanno che se non combattono molti diritti che hanno dato per garantiti verranno cancellati, queste elezioni per loro sono una lotta per la sopravvivenza”.

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È dovuta andare via dal suo Paese ma contesta la definizione di scrittrice in esilio. Perché?
Per diverse ragioni: è un’etichetta che resta anche se un giorno dovessi rientrare nel mio Paese, una gabbia; perché è una sorta di titolo della nobiltà, separato dal mondo invisibile dei rifugiati. E perché l’esilio non ha più molto senso: questo è il secolo dei nomadi, anche gli alberi e le piante si muovono a causa del cambiamento climatico, crescono dove prima non crescevano. Quando migliaia di persone sono senza casa, la mia condizione non ha più rilievo”.

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