Ernesto Assante, un maestro nato per correre

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È morto a Roma Ernesto Assante, firma storica di Repubblica. Un malore improvviso l’ha portato via a 66 anni, lascia la moglie Eleonora e due figlie, Sofia e Costanza. Aveva iniziato a scrivere per Repubblica giovanissimo, alla fine degli anni Settanta, diventando in breve una firma di riferimento degli Spettacoli e non solo. Ha ideato e realizzato progetti editoriali di grande successo, da Musica! Rock e altro a Webnotte. Un maestro di giornalismo e critica musicale.

Non si è mai fermato, Ernesto. Non è la sua natura. Lui deve assorbire tutta la vita che c’è intorno, deve capire tutto il comprensibile, deve esplorare qualsiasi spazio vitale e respirarne l’odore, a qualunque costo.

Il suo sogno è mettere tutta la musica in una scatola per poi restituirla agli altri ma con una spiegazione per ogni nota, ogni verso, ogni colore. I colori, l’unica immagine possibile per uno che non ha mai visto la vita in bianco e nero, anche se si commuove ogni volta che rivede La vita è meravigliosa, e buon Natale agli alberi, alle macchine che sfrecciano e quel giornale che te per te è la vita, e chissenefrega se per scrivere il pezzo devi fare lo slalom tra conversazioni e treni, aerei e lezioni perché tanto ce lo mandi, tranquilli.

Anche se è domenica, Pasqua o anche il Natale con James Stewart in tv, perché quello è il tuo “fottuto lavoro” e viene prima di tantissime cose, niente stanchezza, la pagina è aperta e va chiusa in orario. Perché poi le cose bisogna saperle, seguirle, non c’è tempo per oziare, la contemporaneità è il nostro dovere e se non capisci Taylor Swift e non la sai spiegare, beh, vuol dire che non fai bene il tuo lavoro. Quel lavoro che facevamo insieme anche quando ballavamo i Simple Minds e i Thompson Twins, anni Ottanta pieni di idee e tu già eri qui a Repubblica con Gino a illuminarci la strada, Erne’ hai sentito il nuovo dei Dexy’s, bello sì ma prova i China Crisis, ti piaceranno.

Un’antenna perennemente sintonizzata sul mondo, anche al mare in vacanza, quando affittando il pedalò, dopo giorni di tentativi andati a vuoto col cognome vero, davi al tizio quello sbagliato (“sono Passante”) perché “tanto me lo storpia lui, famo prima”. Anche quando bucavi di notte (c’è stato un periodo in cui il nostro era un mutuo soccorso continuo, foravamo una volta a settimana, forse perché eravamo squattrinati e le macchine erano un po’ così, alla buona) e arrivavo di corsa a portarti in radio, perché a Stereonotte sarebbe toccato raddoppiare il turno al collega e non sia mai che mettevi qualcuno nei guai, anche nella tua proverbiale smemoratezza.

E poi, pedalando in mezzo al mare, quei confronti credibili solo in gioventù, sono meglio gli artisti inglesi o quelli americani, che idea assurda, dicevi, libera la testa e dagli spazio. Quello che spiegavi a noi ai tempi di Musica!, un’utopia anni Novanta diventata un giornale, un laboratorio in cui l’unica regola era “una buona idea è comunque una buona idea”, senza gerarchie di firme o contratti, un dibattito continuo in cui in tanti hanno avuto materia per crescere, per saltare gli schemi e lanciarsi nella vertigine dei tentativi che tu seguivi e guidavi.

Le stesse cose che spieghi ai ragazzi in mille occasioni, perché in mezzo ai ragazzi respiri più forte, loro sono fogli da riempire di storie e sogni, e tu hai così tanto di tutto da inzeppare album interi. È difficile il mestiere, Ernesto? Sì, ma niente è così difficile da non provarci. Gli spieghi di quando scrivevi le recensioni su un quadernino, eh ma i tempi sono cambiati, certo ma qualcuno questo lavoro lo dovrà pur fare. E giù a far prove, a consigliare, a correggere, a insegnare a gestire lo spazio delle righe e quello dell’anima, che non serve strafare, perché anche il nostro è un mestiere. Anche se questo è l’unico pezzo che nessuno voleva scrivere.

Ma per te le righe sono sempre poche, e ti parlo al presente come continueremo tutti a fare, perché tu non puoi stare in un confine. Qualunque sia. Hai insegnato a tanti di noi a essere curiosi in eterno, perché non c’è vita senza curiosità, non fai bene il tuo lavoro, butta via i pregiudizi e cerca il cuore delle cose, delle persone. Il cuore. Dicono che a volte il cuore ti frega. Ma non te ne frega niente. Sei nato per capire, per condividere. Sei nato per correre. Su una strada a senso unico.

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