Gaza City, l’assalto all’ospedale al-Shifa. L’esercito israeliano: “Uccisi 140 miliziani”

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GERUSALEMME — L’ospedale Al Shifa, il più grande e importante della Striscia, torna ad essere il cuore sanguinante della guerra. Quattro mesi fa l’esercito israeliano aveva rotto un tabù, assaltandolo, con l’obiettivo dichiarato di sgominare la base logistica di Hamas nascosta tra corsie e fondamenta. Ora, nel mezzo di un’agenda diplomatica fittissima — in questi giorni particolarmente nutrita, e con la prima bozza americana per il cessate il fuoco in arrivo al Consiglio di sicurezza dell’Onu — le truppe d’assalto israeliane ci sono tornate con la medesima ragione e con risultati impressionanti; ma anche con un prezzo altissimo pagato dai civili.

Lo hanno circondato lunedì, in piena notte. Per quattro giorni lo hanno assediato, colpito e assaltato; il bilancio parziale dell’operazione, ancora in corso, è di «140 terroristi eliminati e più di seicento arrestati». Una cinquantina sarebbero nascosti e braccati. Metà dei catturati sarebbero uomini di Hamas, gli altri della Jihad islamica secondo le forze armate e l’intelligence. Tra gli arrestati ci sarebbero anche alcuni «alti ufficiali di Hamas» dei quali, per ora, non vengono divulgati i nomi per non compromettere le indagini.

Le fonti palestinesi hanno un racconto diverso. Dicono che l’esercito israeliano ha fatto saltare in aria una clinica per cure specialistiche, all’interno del complesso ospedaliero, distruggendo attrezzature introvabili a Gaza e ordinando l’evacuazione dell’intero ospedale con tutti i drammi che comporta. Secondo Euro-Med Human Rights Monitor il bilancio è di «più di 200 palestinesi uccisi tra cui civili, molti dei quali uccisi deliberatamente o con esecuzioni extragiudiziali dopo l’arresto».

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Per Hamas sono state uccise «decine di sfollati, pazienti e personale medico»; per il portavoce dell’esercito, il contrammiraglio Daniel Hagari, «nessun civile, medico o sanitario è rimasto ferito». Secondo le autorità sanitarie di Gaza «13 pazienti sono morti dopo che l’esercito israeliano li ha privati di medicine, ossigeno e cibo. Quattro dei tredici per il taglio dell’energia elettrica mentre erano ventilati in rianimazione». L’esercito israeliano sostiene invece di avere video con armi e denaro sequestrati nell’ospedale, oltre a cellulari e pc usati dall’organizzazione.

Certamente questo blitz inatteso ha messo in luce la straordinaria duttilità di Hamas, che è riuscita a infiltrare nuovamente l’ospedale da cui era stata cacciata a novembre trasformandolo, se le informazioni saranno provate e confermate, in un centro operativo protetto dalla presenza delle strutture ospedaliere. Vorrebbe dire che gli uomini di Hamas dispongono ancora di tunnel ignoti agli israeliani e sufficientemente efficaci da consentire loro di muoversi fino al cuore di Gaza City, nel Nord della Striscia da cui dovrebbero già essere stati completamente espulsi. Di muoversi, oltretutto, con centinaia di soldati operativi, secondo lo stesso bilancio israeliano.

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Per Israele si profila dunque un enorme problema: se la guerra terribile che ha scatenato dopo il 7 ottobre non è neppure in grado di ottenere l’obiettivo prefissato di sradicare Hamas dalle aree sventrate dalle bombe e dai rastrellamenti, vuol dire che non c’è nessuna fine possibile di questa guerra con le maniere forti del premier Benjamin Netanyahu: si rischia solo di transitare dalla guerra attiva alla guerriglia, riportando il conflitto alla sua origine. E nel frattempo frana sempre più la credibilità dell’intelligence israeliana che dopo 5 mesi di guerra non è riuscita a liberare gli ostaggi né a catturare Yahya Sinwar, il leader di Hamas braccato e imprendibile.

È in questo quadro nero che la diplomazia gioca le sue carte. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken oggi sarà in Israele dopo una missione in Arabia e in Egitto in cui ha detto che «i divari si stanno appianando» ed è possibile arrivare a un cessate il fuoco che ora gli Usa propongono anche al tavolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu: la bozza sarà votata oggi, mentre in Qatar si incontreranno i vertici di Cia, Mossad e intelligence egiziana. E si muove pure il Consiglio europeo, sollecitando a «non intraprendere un’operazione di terra a Rafah» che «peggiorerebbe la situazione umanitaria già catastrofica».

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