I gigapixel delle opere d’arte: come si catturano i dettagli invisibili all’occhio umano

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La tecnologia gigapixel consente di fotografare oggetti, in questo caso opere d’arte, con risoluzioni tra i 1.500 e i 3.000 dpi. Con questa tecnica, l’azienda specializzata Haltadefinizione e il Museo del Novecento di Milano stanno portando avanti un programma di digitalizzazione delle opere per metterle a disposizione di pubblico e ricercatori. “Gli ingrandimenti a monitor possono arrivare a 15 o 30 volte l’originale e questo – racconta Luca Ponzio, fondatore della tech company proprietà di Franco Cosimo Panini editore – consente di osservare dettagli impercettibili a occhio nudo”. La tecnica gigapixel consiste nel suddividere un oggetto in tante sezioni e fotografare in qualità estrema ognuna di esse. Successivamente un software, in questo caso sviluppato in house da Haltadefinizione, ricompone l’immagine restituendo la foto definitiva ad alta qualità. “Per noi è fondamentale perché – spiega la conservatrice del museo Danka Giacon – ci permette di osservare lo stato dell’opera in modo molto preciso, ad esempio piccole cadute di colore impossibili da osservare altrimenti”. La prima opera digitalizzata con questa tecnica è stata “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, alla quale si sono aggiunti due quadri di Umberto Boccioni, Elasticità e Dinamismo, oltreché il celebre Ritratto di Paul Guillaume di Amedeo Modigliani e molte altre. I capolavori acquisiti sono a disposizione del pubblico sul sito del Museo del Novecento e di Haltadefinizione.


Di Andrea Lattanzi

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