Il baratto del Cairo: libertà per Patrick, ma silenzio su Regeni

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Voglio ringraziare il presidente al Sisi». Con il videomessaggio pubblicato qualche minuto dopo l’annuncio della grazia per Patrick Zaki, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha chiuso una stagione e ufficializzato il nuovo corso delle relazioni tra l’Italia e l’Egitto. I tempi delle tensioni, che hanno portato anche al ritiro dell’ambasciatore per le bugie, i depistaggi del Cairo nell’inchiesta sulle torture, il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni, sono finiti. Il «dossier Regeni resta una priorità» dicono dal Governo, come fosse una nota necessaria, ma è chiaro che ormai non è più il solo, e nemmeno il primo, sul tavolo.

L’Egitto aveva chiesto: «L’Italia non dovrà più guardarci come un Paese nemico». E così sarà. Da mesi le relazioni sono riprese e saranno intensificate nelle prossime settimane su due binari: l’aiuto del Cairo a Roma sul tema dei flussi migratori. E quello dell’Italia all’Egitto sull’emergenza alimentare, che per il Cairo è anche tensione sociale, dopo che l’arrivo del grano dall’Ucraina (che copriva circa il 90 per cento del fabbisogno) si è praticamente interrotto.

Zaki graziato da al Sisi, già oggi atteso in Italia. Meloni: “Gesto importante”

La grazia per Zaki è, infatti, prima di tutto un atto politico di al Sisi. Esito di un lunghissimo lavoro di relazioni, condotto personalmente dalla premier, dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e dal numero uno dell’Aise, il nostro servizio di intelligence estera, Giovanni Caravelli. Tutto comincia nel vertice di Sharm el-Sheikh del novembre del 2022 quando Meloni accetta il bilaterale con Sisi, con tanto di dichiarazione congiunta finale nella quale si dice fiduciosa della collaborazione sul caso Regeni.

Una bugia, come a Chigi sanno, visto che qualche mese prima le autorità del Cairo avevano comunicato ufficialmente al nostro tribunale che non avevano alcuna intenzione di aiutarli perché si tenesse il processo ai quattro presunti assassini di Regeni ritenendo il caso ormai chiuso. A Sharm el-Sheikh Sisi capisce che qualcosa in Italia è cambiato (seppur proprio sul caso Zaki c’era stata una fruttuosa interlocuzione con il governo Draghi) e che i tempi forse potevano essere maturi per dare in pasto all’opinione pubblica qualcosa che assomigliasse a quell’orrendo baratto adombrato sin dall’arresto senza motivazioni dello studente dell’università di Bologna: «Libertà per Zaki», «Silenzio su Regeni».

Rassicurazioni in questo senso arrivavano dal nuovo ambasciatore egiziano in Italia, Bassam Rady, nominato a maggio del 2022 e arrivato a Roma a marzo di quest’anno. Rady non è uno sherpa qualsiasi ma è l’ex portavoce di Sisi. È un uomo di strettissima fiducia del presidente, quindi, e per questo conosce tutto del fascicolo Regeni, quello che è ufficiale e quello che non si può rivelare. I primi report che invia alla base sono incoraggianti: l’Italia è davvero dialogante. Il ministro Tajani lavora in prima persona per assicurare le buone intenzioni del nostro Paese. A gennaio, su richiesta di Sisi, vola in Egitto per discutere del sostegno alimentare. Un Paese affamato è un Paese arrabbiato e il presidente teme, da sempre, più di ogni altra cosa le contestazioni interne.

La Farnesina continua a dialogare e lo stesso fanno i nostri Servizi che nel frattempo aprono l’altra partita, quella sui flussi migratori, ottenendo grandi aperture. A marzo Tajani è di nuovo al Cairo questa volta con il comparto agroalimentare per provare a sostenere la modernizzazione del sistema agricolo egiziano. Il treno viaggia veloce, quindi. Ma le ombre del caso Zaki e Regeni restano. Accadono così due cose: da un lato il Governo italiano — mentre molti sindaci di destra appallottolano gli striscioni «Verità per Giulio» appesi sui municipi delle loro città — decide di lasciare la palla alla magistratura. Accantona ogni ipotesi di intervento normativo, come pure la riforma Cartabia consente, e lascia così com’è la legislazione sulle notifiche, mettendo di fatto il processo in un binario morto (salvo un intervento della Corte costituzionale, alla quale si è rivolta il tribunale di Roma). Dall’altro il Cairo si dice possibilista a risolvere la questione Zaki.

L’ipotesi più probabile sembrava quella dell’espulsione prima del processo. Ma invece Sisi ha scelto la strada più politica: la grazia, dopo la condanna. «Non è un atto casuale: c’è chi passa le giornate a criticare e chi lavora», ha scritto ieri in un tweet poi cancellato il ministro della Difesa, Guido Crosetto che con il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano e Caravelli sarebbero stati i protagonisti della “soluzione Zaki”. Per poi aggiungere: «È il frutto di lavoro, rapporti, serietà, considerazione, diplomazia, senso delle istituzioni e rispetto». Tutto quello che da sette anni e mezzo chiedono, senza fortuna, ai governi italiani i genitori di Giulio Regeni.

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