Il dramma dei curdi del Rojava: “Erdogan approfitta del caos nella regione per bombardarci. E così l’Isis si rafforza”

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Il generale Mazloum Abdi Kobane, 54 anni, curdo, è la più alta autorità politica e militare delle Forze democratiche siriane, l’alleanza delle forze curde, arabe, assiro-siriache, che insieme alle forze armate della Coalizione Internazionale hanno sconfitto l’Isis e liberato quella vasta area della Siria a Nord del fiume Eufrate, nota come Rojava.
In questa ultimi giorni la Turchia ha bombardato i territori curdi del Nord della Siria attaccando 19 obiettivi civili fra cui ospedali, scuole e fabbriche. A Qamishlo è stato colpito un centro petrolifero vicino ad una prigione dove sono detenuti ex guerriglieri dell’Isis, a Kobane una fabbrica e nella città di Rmelan sono stati colpiti dei silos di grano.

Raggiungiamo telefonicamente il generale Mazloum in Rojava per chiedergli la sua opinione su questa nuova escalation militare.
La Turchia sta nuovamente attaccando le forze curde nel Nord della Siria. Perché proprio adesso?
“L’attacco militare della Turchia è iniziato il 23 dicembre e sta continuando. Non c’è alcuna motivazione militare e gli obiettivi che vengono colpiti sono soprattutto infrastrutture civili. Ci sono già stati moltissimi danni, 10 morti e centinaia di civili feriti”.

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Qual è secondo lei il motivo che ha spinto la Turchia a lanciare questo nuovo attacco?
“Il regime di Erdogan ha un obiettivo chiaro: colpire i curdi dentro e fuori la Turchia e approfitta della distrazione della comunità internazionale su altre aree di crisi come Gaza e l’Ucraina. Ankara usa poi anche in modo strumentale il via libera che la Turchia deve ancora dare all’ingresso della Svezia nella Nato, ritenendo di avere le mani libere per attaccarci. Crede che nessuno in questo momento voglia offendere la Turchia protestando contro le sue ingiustificate azioni militari contro i curdi”.

Le milizie filo-iraniane hanno contemporaneamente attaccato il territorio curdo. Cosa sta succedendo al vostro confine meridionale?
“Fin dall’inizio del conflitto fra Israele e Hamas sono aumentate le tensioni anche nel Nord della Siria. In particolare, dopo l’uccisione del generale iraniano Sayyed Razi Mousavi, in seguito ad un raid israeliano a Damasco, le milizie siriane di Hezbollah hanno attaccato la città di Ash-Shaddadi nel territorio controllato dall’Amministrazione Autonoma del Nord e Est della Siria. In generale sono aumentati gli attacchi alle nostre forze ed alle forze della Coalizione Globale contro l’Isis, soprattutto le forze speciali Usa con basi nel nostro territorio”.

Qual è la sua valutazione sul ruolo attuale della Russia in Siria?
“Dopo avere avuto un ruolo determinante in sostegno al regime di Damasco, mi pare che oggi sia sempre più defilata. Non c’è più il pattugliamento congiunto con l’esercito turco alla frontiera e mi pare che la guerra in Ucraina abbia costretto la Russia a ridurre la propria presenza nell’area”.
L’Isis è ancora una minaccia?
“Gli attacchi di queste ore della Turchia contro di noi stanno riducendo le nostre capacità di contrastare, insieme alle forze della coalizione, le ultime sacche di insorgenza dei gruppi jihadisti. Posso confermare che l’Isis sta traendo dei vantaggi dall’attacco della Turchia e sono anche a rischio i diversi centri di detenzioni dei terroristi di Isis a cominciare dal campo di Al-Howl. In più, diversi gruppi legati ad Al-Qaeda sono ancora attivi nelle aree controllare dall’esercito turco”.
Cosa crede che dovrebbe fare l’Europa e in generale l’Occidente per contribuire alla stabilizzazione dell’area?
“Per prima cosa esercitare più pressioni nei confronti della Turchia affinché interrompa le azioni militari contro di noi. La non reazione dell’occidente incoraggia la Turchia a proseguire nelle sue azioni di pulizia etnica nei confronti dei curdi. Abbiamo sconfitto l’Isis e liberato ampie aree del Nord della Siria, ora dobbiamo difendere le conquiste ottenute. Credo che Europa e Usa abbiamo le risorse e il potere politico per svolgere un ruolo più incisivo in Siria. Non è il momento per un disimpegno dell’occidente. Bisogna ridurre le influenze esterne negative, a cominciare dalla Turchia, per poi trovare un accordo politico complessivo che garantisca la piena stabilizzazione del Paese”.

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