Il nuovo incarico del generale Vannacci: una sciabola di latta che comunque lo premia

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L’incarico è altisonante e in apparenza di alto prestigio: capo di stato maggiore del comando forze terrestri. Fa pensare a un condottiero destinato a guidare schiere di tank e ondate di bersaglieri ma in realtà si tratta di un compito assolutamente burocratico. Non c’è nulla in questa posizione che possa evocare La Marmora o Diaz: il generale Roberto Vannacci è stato destinato a una scrivania senza poteri autonomi, dove dovrà coordinare lo staff agli ordini del generale Salvatore Camporeale, un carrista ed ex comandante dell’accademia di Modena, che è stato anche consigliere al Quirinale del presidente Carlo Azeglio Ciampi e poi di Giorgio Napolitano.

Il Comfoter, come viene chiamato secondo la passione degli acronimi che caratterizza i militari di tutto il pianeta, oggi è soltanto una struttura che “supporta” il capo di stato maggiore dell’Esercito – il generale Pietro Serino che in questo caso ne è il comandante – per la gestione di una serie operazioni. Tra queste c’è “la direzione, il coordinamento e il controllo dei comandi indipendenti” ossia di tutte le brigate che compongono la nostra forza terrestre, ma si tratta di un’attività abbastanza teorica visto che ogni decisione passa dall’ufficio di Serino mentre la parte operativa in patria o all’estero viene diretta dal Covi – il Comando Operativo di Vertice Interforze – del generale Francesco Paolo Figliuolo.

Nonostante ciò, il nuovo incarico di Vannacci ha sicuramente maggiore visibilità rispetto a quello di responsabile dell’Istituto geografico militare di Firenze, da cui è stato rimosso la scorsa estate, e lo riporta pure a fare servizio nella capitale. Un doppio successo per l’autore del “Mondo al contrario” che trasmette un pessimo segnale all’interno delle forze armate e di tutta la cittadinanza.

Il ministro e i vertici militari della Difesa si giustificano sostenendo che la sospensione del generale decisa ad agosto non poteva essere prolungata e dopo tre mesi erano obbligati a reintegrarlo nei ranghi con una posizione degna del suo curriculum, interamente segnato da attività straordinarie come ufficiale incursore e capo di missioni all’estero. Contro Vannacci infatti non ci sono indagini della magistratura ma soltanto il procedimento disciplinare ordinato dal capo di Stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, con il sostegno dello stesso ministro Guido Crosetto: un’inchiesta interna che deve appurare se le dichiarazioni dell’alto ufficiale contro omosessuali, femministe, immigrati espresse nel suo libro siano compatibili con il suo giuramento di fedeltà alla costituzione e – in seconda istanza – se poteva scrivere il volume senza l’autorizzazione dei superiori.
È sorprendente scoprire che tre mesi non sono bastati a chiudere l’istruttoria ed esprimere un giudizio sulle frasi di Vannacci. Eppure non c’è bisogno di perizie tecniche o accertamenti complessi per definire la sua posizione: la lentezza non ha spiegazioni e alimenta i dubbi sulla volontà del centrodestra al potere di recuperare il potenziale elettorale dell’ufficiale, che ha raccolto un consenso straordinario testimoniato dalle vendite record del suo tomo.
A Repubblica risulta che il verdetto potrebbe arrivare entro la fine dell’anno o al massimo l’inizio del 2024. La commissione nominata dai vertici dell’Esercito avrebbe individuato una serie di rilievi disciplinari, che saranno contestati formalmente concedendo il tempo per le repliche dell’ufficiale. La procedura – fanno sapere – richiede in genere un minimo di sei mesi. Troppo tardi. Alla luce del ritorno in servizio, anche una punizione verrebbe sfruttata dai suoi fan per presentare Vannacci come un perseguitato. E aumentare ancora la sua popolarità tra chi sogna un generale per riportare legge e ordine nel Paese: uno slogan che unisce i nostalgici dell’uomo forte alla deriva dei nuovi populismi.

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