La festa del 25 aprile è il futuro

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Celebrare la Resistenza? E perché non anche i moti carbonari o la terza guerra punica? Risposta: perché il 25 aprile – anniversario della Liberazione dal fascismo – ci parla del presente, non del nostro passato. E il presente è la Costituzione, il patto che ci lega. Dopo tre quarti di secolo, dopo molti tentativi di sfigurarne i connotati, sta sempre in quegli smilzi articoletti la fonte della nostra convivenza, la prima regola del nostro stare insieme. Ma ne saremmo privi, senza la lotta partigiana. E dunque l’esistenza della Costituzione è figlia della Resistenza.

Scriviamolo in rime baciate, magari aiuterà gli smemorati a ricordarlo. Sono tanti, non il solo presidente del Senato. Lui, però, ne è il capofila, da quando ha dichiarato che nella Carta costituzionale manca la parola «antifascismo». Vero, anche se l’interpretazione meramente letterale delle regole giuridiche è un «metodo primitivo», scrisse la Consulta nella sentenza n. 1 del 2013. Tuttavia la XII disposizione finale vieta la riorganizzazione del partito fascista, che è poi la stessa cosa. E la vieta «sotto qualsiasi forma», quale che sia il suo nuovo nome, il simbolo, i colori sulla maglia. Insomma: la Costituzione italiana proibisce la riesumazione del fascismo, quindi è una Carta antifascista, così come la Grundgesetz tedesca è una Carta antinazista.

Del resto non potrebbe essere altrimenti. Ogni Costituzione instaura un nuovo ordine (giuridico, politico, sociale), che giocoforza sorge in opposizione all’ordine costituzionale preesistente. Da qui la condanna del fascismo, ma non solo. Anche il ripristino della monarchia è oggetto d’un divieto, benché non se ne rammenti più nessuno. Sarà che in Italia i postmonarchici formano una specie in estinzione, mentre di postfascisti è pieno il cucuzzaro. Tuttavia l’articolo 139 della Costituzione, la sua norma di chiusura, è fin troppo eloquente: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Significa che non si può tornare indietro, nemmeno se fosse d’accordo l’intero Parlamento. Anzi: i costituenti si spinsero a negare ogni validità ai titoli nobiliari (XIV disposizione), e per sovrapprezzo inflissero l’esilio ai membri e ai discendenti di Casa Savoia (XIII disposizione). Poi, nel 2002, quest’ultimo castigo fu reso inefficace. Ma la condanna del fascismo no, rimane lì come una lapide nel testo costituzionale.

Meloni e l’antifascismo da cancellare

Giacché i costituenti dissero: mai più. Nessun’altra generazione avrebbe dovuto sperimentare la tragedia che toccò in sorte a loro. E lo dissero all’unisono, dato che il fascismo aveva imprigionato comunisti come Gramsci insieme a cattolici come De Gasperi, perseguitò liberali come Croce, spedì all’esilio Togliatti non meno di don Sturzo. Così come in quel testo (articolo 11) risuona a lettere maiuscole il «ripudio» della guerra, tragico epilogo del ventennio fascista. Ma in realtà tutto l’edificio costituzionale progettato nel 1947 si staglia contro quello precedente, in antitesi, in opposizione. C’era uno Stato accentrato e accentratore, incarnato dai prefetti; ora siamo inquilini di un ordinamento polifonico, in cui le leggi regionali s’affiancano a quelle nazionali. C’era un partito unico, un sindacato unico, un’unica dottrina; la nuova Costituzione garantisce viceversa il pluralismo – delle idee, delle culture, delle credenze religiose. E garantisce in ultimo le libertà dei singoli e dei gruppi, contro gli abusi del potere.

Ecco, la libertà, la Liberazione. Questa festa non è soltanto un omaggio alla memoria. Reca un messaggio per ciascun italiano, ma destinato soprattutto a chi ha vent’anni, alle nuove generazioni. Questo: la libertà non è mai gratis, si conquista lottando, combattendo. E non è mai per sempre. Perché la vita politica e sociale procura quotidianamente nuove oppressioni, che negano l’idea di libertà. E ogni generazione deve perciò riconquistarla, per se stessa e per chi verrà dopo.

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