La scuola, i centri sociali, la montagna: chi è Ilaria Salis, l’antifascista detenuta in Ungheria

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Degli ultimi 11 mesi di vita di Ilaria Salis sappiamo molto. Non grazie alla trasparenza delle carceri ungheresi, ma dal racconto che lei stessa ha fatto sul suo calvario in prigione in una lettera agli avvocati e da suo padre Roberto che, quando ha avuto il via libera dalla figlia, si è fatto portavoce della sua battaglia per il ripristino dei diritti da detenuta europea.

Dei 38 anni prima del suo arresto – l’11 ottobre scorso, dopo la Giornata dell’Onore che ogni anno raduna a Budapest centinaia di nostalgici di Hitler e gruppi di antifascisti militanti -, invece, sappiamo poco o nulla. Non era famosa Ilaria Salis prima che il suo caso facesse il giro d’Europa, prima che diventasse anche un murales sui muri di Roma. E d’altronde la sua famiglia ci tiene a proteggerla: “Dobbiamo stare attenti, ci sono siti neonazisti che hanno pubblicato il nome, la foto e l’indirizzo della casa milanese di mia figlia”, accusa il padre Roberto.

Quel che è ormai diventato pubblico è che Ilaria Salis, che porta un cognome d’origine sarda e lì, in Sardegna, ha ancora zii e familiari, è nata a Monza, cresciuta in Brianza, si è diplomata col massimo dei voti nel liceo classico della città, lo Zucchi, sezione D. “Ilaria è una di quelle persone che quando le incontri non te le dimentichi più”, raccontava un’amica al Giorno.” Era la migliore della classe. Sensibile alle ingiustizie e paladina dei più fragili”.

Ed è da lì, da quella comunità dello Zucchi, che gli studenti e le studentesse, di oggi e di ieri, hanno lanciato, qualche giorno fa, un appello in favore di Ilaria: “Siamo un gruppo eterogeneo di persone accomunate dall’appartenenza, in tempi diversi, alla comunità didattica, educativa e ‘politica’ del liceo Zucchi di Monza. Con Ilaria abbiamo condiviso spazi, pensieri, timori e slanci dell’età liceale, e come Ilaria tutti abbiamo mosso i primi passi di una consapevolezza di cittadinanza attiva, di partecipazione e responsabilità civile, nelle aule di quella scuola. Ilaria è una di noi”.

Dopo il liceo, a 18 anni, quell’attivismo è entrato dentro una fabbrica abbandonata: Ilaria Salis, con altri, ha fondato il centro sociale Boccaccio nel cuore della borghesissima Monza. Lì, in via Boccaccio, i nazisti avevano fucilato tre partigiani sotto la neve. Ai militanti in città era sembrato un posto perfetto. “S’è sempre appassionata alle cause sociali. Fin dal liceo. Si consumava sui libri e nell’impegno politico. Il centro sociale, l’ha praticamente fondato lei…”, ha spiegato il padre Roberto al Corriere della Sera.

Amante di teatro, oltre che delle arrampicate in montagna, nella sala del centro sociale, ribattezzata “La scala pericolante”, ha interpretato l’antimilitarismo di Euripide ne “Le troiane”. “Studiava moltissimo, soprattutto la storia”, ha raccontato un altro ex compagno di scuola che fa oggi parte del “Comitato Ilaria Salis” che chiede di riportare l’antifascista in Italia.

Qualche anno più tardi è arrivata la laurea in Storia alla Statale di Milano con pieni voti e una tesi su Sant’Ambrogio. E il lavoro da maestra elementare. “In carcere ha chiesto libri, solo libri, studiava sempre, dalla mattina alla sera, d’altronde lì non c’è molto da fare. Io costruivo bambole con pezzi di lenzuolo, lei studiava”, ha ricordato a Repubblica la sua ex compagna di cella in Ungheria, Carmen Giorgio.

In passato Salis era finita in alcune intercettazioni della procura sulla galassia anarchica: dialogava con Roberto Cropo, anarchico italiano estradato dalla Francia nel 2020. Ma su di lei non erano state formulate accuse. Nel 2017 è stata coinvolta in un processo per un assalto a un gazebo della Lega a Monza ma, come hanno ricordato i suoi legali, “è stata assolta per non aver commesso il fatto”, diversamente da quanto racconta il Carroccio. Nella motivazione il giudice scrisse: “Nessuno dei quattro imputati per il presunto assalto alla sede della Lega a Monza, tra i quali Ilaria Salis, appare aver partecipato all’azione delittuosa commessa dai compagni di corteo, né pare averli in qualche modo incoraggiati o supportati moralmente”. Ha avuto, ha scritto La Verità, una condanna nel 2022 per “resistenza aggravata” e “per aver intonato cori ostili, posizionato per strada sacchi di spazzatura e lanciato immondizia contro i poliziotti”.

L’11 febbraio del 2023 Ilaria Salis era a Budapest. Ha partecipato a una manifestazione antifascista contro il raduno dei militanti neonazisti per il Giorno dell’Onore. “E’ un’idealista”, dice la zia Carla Rovelli, sorella del papà e madrina di battesimo di Salis che per chiederne il ritorno in Italia ha scritto a Papa Francesco.

Qualche ora dopo il corteo è stata fermata in taxi con altri due militanti antifascisti tedeschi, uno dei due aveva un manganello retrattile in tasca. E’ stata accusata per quattro aggressioni ma due contestazioni sono cadute presto perché si è dimostrato che la donna non era ancora arrivata in Ungheria quando sono avvenute. Oltre alle lesioni per l’accusa “potenzialmente mortali”, che però le due vittime non hanno denunciano e che sono guarite in pochi giorni, le viene addebitata anche l’affiliazione alla Hammerbande, un gruppo nato a Lipsia, in Germania, che si propone di “assaltare i militanti fascisti”. Rischia fino a 24 anni di prigione. La procura di Budapest ne ha chiesti 11. Ilaria Salis si è sempre dichiarata innocente, ha rifiutato un patteggiamento a 11 anni, ha chiesto di poter visionare i video che non la riprenderebbero in volto e di poter avere accesso a tutti gli atti del processo tradotti in lingua italiana. Uno dei coimputati si è dichiarato colpevole, è stato condannato a tre anni.

Al papà, quando ha potuto risentirlo dopo 6 mesi di chiamate vietate, Ilaria Salis aveva chiesto di non parlare con i media. Fino a ottobre. Il 2 di quel mese ha scritto una lettera ai suoi avvocati denunciando le condizioni detentive, tra abiti sporchi, mancanza di assorbenti durante il ciclo, infestazioni di cimici in cella. Il 16 dicembre, su Repubblica, la sua storia è venuta fuori. E ora è diventata un caso politico.

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