L’assalto a Kiev, la caduta di Mariupol, la controffensiva fallita: due anni di guerra in Ucraina

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LONDRA – Due anni di guerra in Ucraina: la seconda invasione della Russia è cominciata il 24 febbraio 2022. Un anniversario che coincide con un altro: dieci anni dall’annessione russa di Crimea e Donbass, la prima invasione dell’Ucraina, iniziata il 27 febbraio 2014. Ecco la cronistoria di un conflitto che ha generato centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, miliardi di spese militari e di danni civili.

Gli antefatti

Dal 1945, pur facendo parte dell’Urss, l’Ucraina è membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Nel dicembre 1991, al crollo dell’Urss, l’Ucraina diventa uno stato indipendente, così come allo stesso tempo diventano nazioni sovrane le altre quattordici repubbliche sovietiche, compresa la Russia. Nel 1994 l’Ucraina firma il trattato per la non proliferazione delle armi nucleari, accettando di consegnare alla Russia, quale erede dell’Urss dal punto di vista militare, l’arsenale atomico sovietico che era stazionato sul territorio ucraino: 176 missili balistici a lungo e medio raggio, 33 bombardieri strategici, per un totale di 1700 testate nucleari (se le avesse tenute, è improbabile che in seguito la Russia l’avrebbe invasa). In cambio della rinuncia agli armamenti nucleari, Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna si impegnano a proteggere “l’integrità territoriale e l’indipendenza politica” dell’Ucraina.

Nel 1995 l’Ucraina aderisce al Consiglio d’Europa, l’organizzazione (da non confondere con l’Unione Europea) che promuove democrazia, diritti umani e identità culturale europea, di cui fanno parte 46 Paesi del continente. E nel 1999, al summit di Istanbul dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea (Osce, di cui è entrata a fare parte anche l’Ucraina), la Russia è uno dei Paesi firmatari della Carta per la Sicurezza Europea, che riconosce il diritto di ogni Paese membro “di cambiare e scegliere alleanze e accordi di sicurezza”.

Il preludio

Durante la campagna per le elezioni presidenziali ucraine del 2004, il candidato filoeuropeo Viktor Yushchenko viene misteriosamente avvelenato con la diossina, sopravvive ma viene sconfitto dal candidato filorusso Viktor Yanukovich, tra accuse di brogli elettorali. Due mesi di pacifiche dimostrazioni, ribattezzate la Rivoluzione Arancione, contestano il risultato. La Corte Suprema ucraina lo annulla, sostenendo che è stato prodotto da una frode. Si tiene un secondo turno di votazioni tra i due candidati e stavolta vince il filoeuropeo Yushchenko. Nel 2008 Ucraina e Georgia, l’ex-repubblica sovietica nel Caucaso, chiedono l’ammissione alla Nato, che non la accetta ma dice che i due Paesi potrebbero entrare nell’Alleanza Atlantica in un non precisato futuro. Putin risponde con una parziale invasione della Georgia. Nel 2009 il candidato filorusso Yanukovich si ricandida alla presidenza dell’Ucraina, vince e cambia direzione, rifiutando di firmare un trattato di associazione con la Ue e presentando un decreto per dichiarare il russo come lingua ufficiale dell’Ucraina. Anni di proteste di massa contro queste decisioni, note come il movimento di Euromaidan dal nome di una piazza di Kiev, spingono nel febbraio 2014 Yanukovich a scappare in Russia alla vigilia di un procedimento di impeachment nei suoi confronti.

La prima invasione

Il 27 febbraio 2014 forze russe senza distintivi ufficiali cominciano a occupare la Crimea, “donata” dalla Russia all’Ucraina nel 1954 dall’allora leader sovietico Nikita Krusciov per il trecentesimo anniversario dell’amicizia tra i cosacchi del Don e Mosca: in concreto non cambia niente, perché sia Russia che Ucraina fanno parte dell’Urss, e comunque il 90 per cento della popolazione della Crimea, penisola affacciata al mar Nero, è rimasto di lingua ed etnia russa. In marzo le forze armate russe completano l’occupazione e il parlamento russo annette formalmente la Crimea. In aprile forze paramilitari russe invadono anche il Donbass, zona mineraria ucraina lungo il confine con la Russia, anch’essa con una popolazione prevalentemente russofona. Ne nasce un conflitto di crescente intensità con le forze ucraine, culminato nel mese di agosto con l’invasione dell’esercito regolare russo.

Nel corso della guerra, un aereo delle linee aeree malesi in volo da Amsterdam a Kuala Lampur viene abbattuto mentre sorvola le zone del Donbass sotto controllo russo, provocando la morte di 283 passeggeri e 15 membri dell’equipaggio. Una serie di negoziati fra le due parti mediati dall’Osce, denominati Minsk I e Minsk II dal nome della capitale della Bielorussia in cui si svolgono, stipulano un cessate il fuoco: dovrebbero portare a un accordo di pace fra Mosca e Kiev ma risultano soltanto in una tregua armata, con le due forze attestate in una guerra di trincea con occasionali scontri per i successivi otto anni.

L’inizio della seconda invasione

Tra gennaio e l’inizio di febbraio 2022 si verifica una escalation nei combattimenti tra russi e ucraini nel Donbass, mentre Putin ammassa decine di migliaia di truppe alla frontiera, inizialmente sostenendo che si tratta soltanto di esercitazioni militari. Il 21 febbraio la Russia riconosce formalmente le repubbliche di Donetsk e Lugansk, come si sono autoproclamate le parti del Donbass ucraino occupate dalle forze russe. Il 24 febbraio il capo del Cremlino annuncia una “operazione militare speciale per demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina: pochi minuti più tardi missili e bombe colpiscono Kiev e numerose altre città ucraine, mentre una larga forza militare russa invade l’Ucraina per via di terra.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ordina la mobilitazione generale di tutti gli uomini fra i 18 e i 60 anni per “difendere la patria”. Gli esperti di affari militarti descrivono l’invasione russa come il più grande attacco a un Paese europeo dalla Seconda guerra mondiale in poi e la più massiccia operazione militare russa dall’attacco di Berlino del 1945. A fianco delle forze regolari russe combattono i mercenari del Gruppo Wagner e unità della Cecenia. Più tardi vengono arruolati anche volontari siriani e carcerati russi, la cui pena viene perdonata in cambio della decisione di andare a combattere.

Fallita conquista di Kiev

L’obiettivo russo è conquistare la capitale ucraina, catturare, uccidere o costringere alla fuga il presidente Zelensky, insediare un nuovo governo e dichiarare l’operazione conclusa nel giro di un paio di settimane. Su carri armati e camion è dipinta una grossa Zeta, lettera iniziale di “za pobiedu”, per la vittoria, che appare poi come un simbolo dell’invasione anche in manifesti sulle strade di Mosca. Ma il piano fallisce completamente. La Russia non si aspettava la fiera resistenza dei soldati di leva ucraini e della popolazione civile. Le forze speciali russe che cercano di stringere Kiev in una morsa, invadendo da ovest attraverso la Bielorussia e da est, arrivano fino a pochi chilometri dalla capitale, ma lì vengono bloccate. Un lancio di paracadutisti sulla città per prendere prigioniero o assassinare Zelensky non riesce, perché il presidente riesce a mettersi in salvo.

Gli Stati Uniti gli offrono un volo per mettersi al sicuro a Washington ma lui rifiuta e da quel momento indossa soltanto un’uniforme militare. Una colonna di carri armati russi lunga 60 chilometri, che scende dalla frontiera verso Kiev, viene fermata da azioni di guerriglia di piccole unità mobili ucraine, che si spostano in motocicletta e la attaccano con droni o bazooka: basta fermare un paio di carri armati in più punti e la colonna non può più muoversi, diventando un facile bersaglio per i cecchini ucraini.

Ai primi giorni di aprile, le forze russe cominciano a ritirarsi, in una marcia indietro fino alle zone del Donbass che già occupavano dal 2014, subendo gravi perdite: ma ritirandosi compiono efferati massacri di civili, stuprano donne, rapiscono bambini, come avviene nella cittadina di Bucha, teatro di una strage poi documentata da osservatori internazionali e magistrati della Corte Penale Internazionale dell’Aia, che incrimina Putin e i suoi generali per crimini di guerra e contro l’umanità, emettendo un mandato di cattura nei suoi confronti: da quel momento il leader russo non può più andare in Occidente, dove rischia di essere arrestato.

Bombardamenti a tappeto

A questo punto Mosca cambia strategia, abbandonando il progetto di conquistare tutta l’Ucraina in poco tempo, e si concentra su una intensa campagna di bombardamenti di Kiev e di tutte le maggiori città del Paese, da Odessa nel Sud fino a Leopoli ad Ovest lungo il confine con la Polonia. Missili e bombe colpiscono indiscriminatamente obiettivi militari, fabbriche, infrastrutture civili, ospedali, chiese, teatri, abitazioni, in un chiaro tentativo di scoraggiare e impaurire la popolazione ucraina, togliendole la forza di combattere. Ma nonostante il coprifuoco, la mancanza di corrente elettrica, le difficoltà negli approvvigionamenti, a Kiev e altrove la vita poco per volta riprende e la gente non si arrende. Otto milioni di persone, in maggioranza anziani, donne e bambini, fuggono tuttavia in Occidente, in treno, in auto, a piedi, attraverso la frontiera con Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania: finendo per essere accolti in tutta Europa (l’Italia è il Paese con il maggior numero di profughi ucraini).

Reazioni occidentali

Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito rispondono all’invasione condannando la Russia e mettendo in modo un programma di aiuti civili e militari a Kiev senza precedenti. Non facendo parte della Nato, l’Ucraina non può contare sul diretto intervento dei Paesi dell’Alleanza Atlantica in suo aiuto: ma dalla Nato riceve armi, addestramento, assistenza logistica. Numerosi leader occidentali, incluso il presidente americano Biden e i primi ministri italiani Draghi e Meloni, visitano Kiev anche sotto i bombardamenti. Il presidente russo Zelensky viene invitato a parlare davanti al Congresso di Washington, al parlamento europeo e in numerose capitali d’Europa. L’Occidente adotta inoltre pesanti sanzioni economiche contro la Russia: vengono interrotti tutti i voli commerciali, vietata l’ingresso ai cittadini russi anche per ragioni di turismo, congelati e confiscati i beni di oligarchi legati al Cremlino, ritirati dalla Russia investimenti, aziende e società che vi operavano fin dalla fine del comunismo. Soltanto le riserve monetarie russe custodite a Washington, per un valore di 300 miliardi di dollari, non vengono per il momento toccate, anche se alcuni suggeriscono di usarle per la ricostruzione dell’Ucraina.

Tuttavia, nel timore che la guerra porti a un confronto militare diretto fra Nato e Russia, o che spinga Mosca a usare un’arma nucleare “tattica”, meno potente di quelle strategiche ma comunque in grado di fare centinaia di migliaia di vittime, l’Occidente rifiuta per lungo tempo di offrire all’Ucraina le armi di cui Kiev ha più bisogno per respingere l’invasore: missili a medio e lungo raggio, carri armati e cacciabombardieri. Poco per volta questa cautela viene superata, missili, carri armati e in questi giorni anche aerei militari vengono forniti all’Ucraina, ed è delle ultime ore l’affermazione del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che riconosce a Kiev il diritto di usare le armi occidentali per colpire installazioni militari nemiche “anche in territorio della Russia”. Alcuni commentatori ritengono che se questi aiuti fossero stati forniti primi, il bluff di Putin sarebbe stato esposto e la controffensiva ucraina avrebbe avuto maggiore successo.

Caduta di Mariupol

Respinta sul fronte di Kiev, la Russia punta allora la maggior parte della sua offensiva di terra sul sud-est dell’Ucraina, per conquistare il territorio che collega il Donbass alla Crimea, le due regioni già invase e sotto il suo controllo dal 2014. È anche questa una campagna a base di feroci bombardamenti, con intere località rase al suolo. Una delle battaglie più lunghe e più atroci è quella per la conquista di Mariupol, una città di 280 mila abitanti sul mare di Azov, che viene occupata dopo il bombardamento dell’ospedale e un lungo assedio della centrale elettrica locale in cui si erano barricati centinaia di soldati ucraini: gli ultimi 300 si arrendono il 18 maggio 2022. In parte verranno restituiti all’Ucraina in uno dei frequenti scambi di prigionieri fra le due parti.

Battaglia alla centrale nucleare

Un’altra battaglia campale, nella stessa regione dell’Ucraina sud-orientale, si svolge per tutta l’estate attorno alla centrale nucleare di Zhaporizhzhia, più volte sfiorata dalle bombe: tra l’allarme dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica, i cui ispettori visitano più volte la centrale, i reattori vengono spenti, riaccesi, spenti di nuovo, nel timore di un incidente simile a quello della centrale nucleare di Chernobyl, nel 1986, quando l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica. Come nel caso di Mariupol, a costo di gravi perdite le forze russe riescono a mantenere il controllo dell’area.

Controffensiva ucraina

Fra la fine di agosto e l’inizio di ottobre del 2022, le forze ucraine lanciano una fulminante controffensiva, che per certi versi coglie di sorpresa i russi, per altri rivela l’inconsistenza delle difese di Mosca e la scarsa volontà di combattere dei suoi soldati. In pratica, l’esercito di Kiev riconquista larghe fette di territorio nella regione di Kherson e di Kharkiv e riprende terreno anche nel sud del Paese, rafforzando la difesa di Odessa e garantendosi così uno sbocco al mare. Le truppe russe sono costrette a retrocedere al di là del fiume Dnepr, attestandosi sulla riva orientale. Se in quel momento l’Ucraina disponesse di armi più letali, in particolare di carri armati e aerei, forse potrebbe conquistare ancora più terreno e riprendersi pure il Donbass.

Stallo invernale

Per tutto l’inverno 2022-2023 il conflitto entra in una fase di stallo, nel senso che continuano scontri anche molto cruenti, ma la linea del fronte praticamente non si muove, con i russi che controllano una fascia sud-orientale dell’Ucraina, pari a circa un quinto della superficie totale del Paese, e bombardano a intervalli irregolari altre aree. Le condizioni meteorologiche complicano operazioni su larga scala, si torna alla guerra di trincea, come dimostra una lunga e furiosa offensiva russa per prendere una cittadina di relativa importanza, Bakhmut, senza riuscire a conquistarne più che qualche quartiere. L’impressione è che, dopo la devastante controffensiva ucraina dell’estate precedente, Putin abbia bisogno di vantare una vittoria militare sul campo, ma l’obiettivo gli sfugge. E lo stallo prosegue in primavera, quando lo scioglimento della neve e le abbondanti piogge rendono il terreno melmoso, impedendo ai carri armati di spostarsi facilmente in un senso o nell’altro.

Fallita controffensiva ucraina

A causa delle difficoltà del meteo, e in attesa di aiuti militari più importanti che non arrivano, nell’estate 2023 Zelensky rimanda a lungo la preannunciata controffensiva, che sarebbe la seconda dopo il successo di quella dell’anno precedente. L’attesa accresce la sensazione di stallo. A questo si aggiunge una comprensibile stanchezza per il prolungarsi della guerra, che ormai dura da quasi un anno e mezzo. Quando finalmente la controffensiva parte, in estate avanzata, gli ucraini scoprono che i russi hanno usato tutto questo tempo per costruire delle difese formidabili: trincee, sbarramenti anticarro, bunker, campi minati.

Sebbene Kiev sia riluttante ad ammetterlo, e a dispetto del fatto che gli attacchi continuino sino all’autunno inoltrato, la controffensiva di fatto fallisce: i progressi ottenuti dalle forze ucraine sono minimi. Nel gioco delle aspettative, sia in Ucraina, sia in Occidente, questo risultato offusca il molto che l’Ucraina ha realizzato fino a quel momento: avere respinto l’invasione, mantenuto l’indipendenza, conservato grosso modo l’80 per cento del proprio territorio, resistendo a una forza nemica infinitamente superiore dal punto di vista numerico e, ancora di più, da quello degli armamenti. Si diffonde così la sensazione che Kiev non riuscirà a rimandare più indietro di così le forze russe, seppure il suo presidente insista a dire che anche Crimea e Donbass devono essere liberati; e che perciò l’unica soluzione della guerra sia al tavolo dei negoziati, perlomeno con un armistizio se non con un vero accordo di pace.

Il golpe di Prigozhin

L’unica vera minaccia per il Cremlino è, nel mese di luglio, l’apparente rivolta del Gruppo Wagner, che guidato dal suo capo Evghenij Prigozhin, in passato fedele alleato di Putin, critica lo stato maggiore russo e comincia una marcia su Mosca in quello che sembra un tentativo di golpe. Ma quando è a 400 chilometri dalla capitale Prigozhin ferma i suoi mercenari e accetta l’esilio in Bielorussia. Il mese dopo, durante un volo da Mosca a San Pietroburgo, il ribelle muore nella misteriosa esplosione del suo aereo privato.

Le battaglie navali

L’unico fronte su cui l’Ucraina prosegue a cogliere risultati è il mare: i suoi attacchi alla flotta russa del mar Nero, con droni e missili, privano Mosca di numerose navi, affondate o danneggiate, sia davanti al porto di Odessa, costringendo la Marina militare russa ad allontanare il blocco navale che vi aveva imposto, sia lungo i porti della Crimea. Un’umiliazione cocente per Putin, che in un primo tempo sperava di sbarcare a Odessa e prendersi l’intera costa del mar Nero. Proprio sul mare, all’inizio dell’invasione, si era verificato uno degli episodi più eroici della guerra: quando le forze navali russe, circondata la piccola isola dei Serpenti, un base della marina ucraina, intimano ai soldati nemici di arrendersi. E gli ucraini rispondono: “Nave da guerra russa, vai a farti fottere!”, un messaggio che diventa uno slogan ripetuto per tutto il resto del conflitto.

Progressi russi

L’inverno 2023-2024 riproduce per lunghi periodi la situazione di stallo dell’inverno precedente. Ogni tanto, quasi un sintomo della frustrazione che prova il Cremlino, Mosca riprende a bombardare intensamente Kiev, nella speranza di diffondere il terrore fra la popolazione, che ha ricominciato a riempire cinema e ristoranti. Ma nelle ultime settimane le forze russe ottengono anche qualche successo sul terreno, per esempio conquistando dopo un lungo assedio la città di Avdiivka, nell’Ucraina orientale, che alla fine le forze ucraine sono costrette ad abbandonare. I repubblicani americani, a partire dal candidato alla Casa Bianca Donald Trump, e alcuni leader europei, parlano apertamente della necessità di interrompere gli aiuti all’Ucraina e concludere la guerra mettendosi d’accordo con Putin. Il presidente Biden e i leader della Ue per ora hanno deciso di continuare gli aiuti a Kiev: ma il conflitto, dopo due anni di guerra, è entrato in una fase nuova, più incerta. Anche se la morte in carcere dell’oppositore russo Aleksej Navalny dimostra la ferocia del regime di Putin, che fra tre settimane è praticamente sicuro di essere rieletto fino al 2030 in una sfida alle rune senza veri avversari: “Aiutare l’Ucraina”, dicono i dissidenti, “è il modo migliore per difendere la speranza di democrazia in Russia”.

Vittime e aiuti

È impossibile avere statistiche ufficiali sul numero dei morti provocati dalla guerra, ma secondo stime della Bbc nel conflitto hanno perso la vita circa 500 mila persone, tra militari e civili, russi e ucraini. Gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina 47 miliardi di dollari in aiuti militari, l’Unione Europea 20 miliardi di euro in aiuti militari e civili, il Regno Unito 12 miliardi di sterline di aiuti, di cui 7 miliardi in assistenza militare.

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