Laura Donadoni: “Vi racconto i soprusi subìti dalle donne del vino”

Pubblicità
Pubblicità

“Durante una visita di lavoro in una cantina importante, un produttore si è sentito autorizzato a provarci con me, in maniera violenta: nello scendere le scale per la bottaia mi ha buttato contro un muro e ha cercato di imporsi su di me fisicamente. Io l’ho respinto, mi sono sentita umiliata. E mi sono fiondata via. Poi c’è stato un chiarimento e questa persona si è scusata. Ma quella notte non ho dormito e ho passato le successive notti a chiedermi dove avevo sbagliato, dove gli avevo fatto intendere che poteva farlo e se tutto il suo interesse per il mio lavoro in realtà fosse fisico e sessuale. Da quel momento, ho iniziato a perdere autostima e a mettere in dubbio le mie abilità, preda di tutto il turbinio di pensieri che si innesca nella mente di una vittima che cerca di dare una spiegazione a quello che è successo. Quando negli Usa si è diffuso il movimento #metoo, ho preso coraggio e ho raccontato quell’episodio. Ma ogni volta che scendo le scale di una bottaia mi chiedo: gli avrò dato adito a pensieri strani, c’è qualcun altro con me? La cosa mi crea inquietudine ancora adesso. Qualcosa che è difficile da spiegare a chi non l’ha mai provato”. A parlare è Laura Donadoni, giornalista e influencer del vino, nota sui social come TheItalianWineGirl. Lo racconta nel suo libro “Intrepide – Storie di donne, vino e liberta?” edito da Slow Food, in uscita l’11 ottobre, e lo anticipa a il Gusto, in questa intervista su violenze di genere e gender gap che coinvolge il mondo del vino. Nel suo libro (che parte dall’omonimo podcast), con prefazione di Maura Gancitano, Donadoni racconta le storie di 12 donne che lavorano nel mondo del vino e raccoglie le loro confidenze, le molestie e i soprusi subìti. La giornalista sarà fra i protagonisti del festival C’è più Gusto a Bologna, l’evento organizzato dall’hub IlGusto 21 e 22 ottobre a Bologna, in un talk (che si svolgerà domenica) sul ruolo delle donne nel mondo dell’enogatronomia.

Perché ha scritto questo libro?
“Raccontare il mondo del vino dal punto di vista delle donne può aiutare a evolvere verso ambienti di lavoro meno discriminatori. Certo, solo se lo leggeranno anche gli uomini. Un cambiamento è possibile se sia uomini sia donne si rendono conto del problema è vogliono provare a risolverlo”.  

Come nasce il progetto?
“Dalle centinaia di segnalazioni di soprusi, prevaricazioni e violenze che ho raccolto negli anni attraverso i canali social. Da quando io stessa mi sono aperta raccontando gli abusi subìti da me e ho scelto di impegnarmi a divulgare una cultura della parità, moltissime donne del mondo del vino mi hanno confidato le loro storie. Ma la stragrande maggioranza ha paura a rivelare pubblicamente quanto subisce. Per tutte loro ho deciso di mettere insieme dodici Intrepide, esempi di leadership, di carriere, che si raccontano senza tralasciare fallimenti e difficoltà. Servono modelli a cui ispirarsi. Alcune di loro si sono letteralmente costruite dal nulla”. 

Ecco perché a Bologna c’è sempre +Gusto

Che fotografia del mondo del vino è venuta fuori in tema discriminazioni di genere?
“Il mondo del vino è ancora per la maggior parte monogenere. Lo dicono i numeri: solo l’11% degli enologi è donna, per esempio, e alcune professioni tecniche restano riservate agli uomini perché orari e luoghi di lavoro non sono compatibili con la vita familiare che resta a carico della donna. E poi è anche una questione di atteggiamento nei confronti di quelle poche donne che rompono il così detto soffitto di cristallo. Emblematica nel libro è la testimonianza di Matilde Poggi, prima donna italiana ad avere una carica europea (è presidente dei vignaioli indipendenti europei dal 2022): ha collezionato, appena eletta, una serie di complimenti che sottolineavano “è una donna, ma è anche molto capace”. Non credo serva commentare”. 

Che cosa l’ha stupita di più e cosa è stata una conferma?
“La conferma è stato il costante senso di inadeguatezza delle donne che racconto, anche quelle di successo: è figlio di quest’idea che dobbiamo sempre dimostrare di “essere anche capaci”. E anche il diffusissimo senso di colpa di chi è madre ed è accusata di trascurare i figli per la carriera. Ciò che mi ha stupito invece è stato rilevare come le violenze psicologiche siano una costante: aldilà delle battute a sfondo sessuale o delle molestie, alcune delle protagoniste raccontano di vessazioni atte a sminuirle come esseri umani: “Non sai fare niente, sei inutile”. Quando un uomo si sente minacciato nel suo ruolo di potere la violenza psicologica è l’arma più efficace che sceglie di usare: sminuire chi può competere, screditare o umiliare sono i modi migliori per ricordare che non si è alla pari”. 

Può raccontarci un paio di aneddoti in proposito?
“La storia potentissima di Cristina Mercuri, che diventerà la prima Master of Wine italiana e nel suo passato ha subito una manipolazione per mano di un narcisista. Ha perso la sua attività a causa di questa violenza e ha dovuto ricominciare da zero. La sua storia serva ad altre per riconoscere i campanelli di allarme di un collega che ti sta plagiando e convincendo di essere meno di zero. Cristina ha avuto coraggio”. 

La discriminazione di genere non si esprime solo attraverso molestie, ma anche con mobbing e pressioni che più difficilmente si applicherebbero a uomini. Come ci si difende? 
“Esatto, la discriminazione passa attraverso una cultura sessista che non ha a che fare solo con le molestie e gli istinti sessuali, ma che si basa sugli equilibri di potere. Sul posto di lavoro questo si complica perché ci sono ulteriori gerarchie e una donna che parte già da una posizione di svantaggio (il pay gap è una realtà, il discorso maternità non aiuta), è il target perfetto per i prevaricatori”. 

Nell’era dell’intelligenza artificiale, della telechirurgia e degli orti sulla luna, non è surreale che ci siano ancora violenze di genere? Dove abbiamo sbagliato? 
“Se c’è un mea culpa da imputare lo faccio innanzitutto a me stessa: è quello di non essermi accorta prima di quanto avevo interiorizzato i pregiudizi del patriarcato. Ogni volta che ho guardato dall’alto in basso una donna per il suo aspetto fisico, che ho pensato male di una madre che finiva tardi in ufficio e non tornava in tempo per mettere a nanna i bambini, ogni volta che “si, ma quella se l’è cercata”, che ho guardato altrove quando lui le tirava una pacca sul sedere, che ho riso senza neanche sapere il perché all’ennesima battuta sessuale. Ogni volta che ho visto un uomo piangere e ho pensato che fosse una femminuccia. È ora di riappropriarci della nostra coscienza critica, fare reset e insegnare a chi verrà che un mondo gentile e rispettoso non solo è possibile, è doveroso”. 

Come se ne può uscire?
“Con l’educazione e la divulgazione Ho di recente lanciato un appello al comparto del vino. Se fossimo il primo settore a dotarsi di un corso anti sessismo? Non ho raccolto grandi adesioni, ma non mollo.  Come le Intrepide, cerchiamo di cambiare le cose, un calice per volta”.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *