L’indipendenza della Consulta base fondante della democrazia

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MENTRE le sirene assordano il cielo di Kiev e i bombardamenti proseguono la loro cieca opera di devastazione, la Verkhovna Rada – il Parlamento ucraino – lavora per il futuro del Paese.

All’orizzonte si profila la prospettiva dell’adesione all’Unione europea. Tra le riforme in discussione, grande attenzione è stata posta sulla riforma della Corte costituzionale.

Il punto cruciale è il sistema di selezione dei giudici costituzionali. La Commissione di Venezia per la democrazia, un organo consultivo del Consiglio d’Europa, si è espressa più volte sulla riforma della Corte costituzionale ucraina: l’obiettivo è disegnare una procedura di nomina dei giudici costituzionali che ne assicuri la professionalità e l’indipendenza dal potere politico.

Le piazze in fiamme

Perché tanta attenzione sulla Corte costituzionale? Perché tra i molti aspetti che riguardano la struttura democratica del Paese appare così decisivo il sistema di nomina dei giudici della Corte costituzionale?

Prima di provare a rispondere a questa domanda, allarghiamo un po’ lo sguardo e rivolgiamolo al dibattito che sta infiammando le piazze in Israele.

Anche lì al centro delle proteste c’è la Corte suprema e la riforma proposta dal governo che mira a modificare il sistema di nomina dei giudici e a incidere sui poteri della stessa.

Secondo la proposta in discussione, la nomina dei giudici sarebbe affidata a un comitato di nove persone, di cui cinque espressione della maggioranza di governo.

I poteri ridimensionati

Quanto ai poteri della Corte, sarebbero fortemente ridimensionati se la riforma venisse approvata: si richiederebbe la maggioranza dei due terzi dei giudici per dichiarare l’illegittimità costituzionale delle leggi e si prevedrebbe una override clause – cioè una clausola che assicurerebbe alla Knesset – il Parlamento israeliano – di riapprovare una legge dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema, senza necessità di maggioranze qualificate.

Sembra strano, ma argomenti apparentemente tecnici, che appassionano di solito pochi specialisti, stanno riempiendo da mesi le piazze in Israele e mobilitano il Parlamento di un Paese in stato di guerra come l’Ucraina.

Cosa c’è di così cruciale nel sistema di nomina dei giudici della Corte costituzionale e nei suoi poteri da mobilitare il dibattito pubblico e da allertare le istituzioni europee?

La neutralità

Le Corti costituzionali svolgono un ruolo decisivo nella vita delle democrazie contemporanee e lo devono svolgere da una posizione di neutralità.

Vigilano affinché le decisioni delle istituzioni politiche rispettino il patto costituzionale, senza mai diventare esse stesse parti in causa del gioco politico.

La nostra democrazia, espressione del patrimonio costituzionale comune europeo, non fa eccezione: è una democrazia costituzionale, in cui la sovranità popolare si «esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», in cui cioè la maggioranza politica governa il Paese, ma lo deve fare sempre nel rispetto e nei limiti della Costituzione.

Gli equilibri deteriorati

Per il loro compito di custodi delle costituzioni, le Corti costituzionali sono state pensate per essere – e devono essere – “poteri neutri”. Se le Corti costituzionali perdono la loro indipendenza e la loro neutralità, come sta accadendo in alcuni Paesi, gli equilibri tra sfera della politica e sfera della costituzione si deteriorano.

Le Corti catturate da una logica politica agiscono o come una sorta di “terza camera”, che avalla acriticamente tutte le scelte della maggioranza anche a rischio di compromettere i valori costituzionali, o come una sorta di “potere contro-maggioritario”, che sistematicamente si contrappone alla maggioranza di governo, impedendole di lavorare.

In entrambi i casi il loro ruolo di custodi super-partes della Costituzione è tradito. Il sistema di nomina dei giudici delle Corti costituzionali è uno snodo decisivo.

La Polonia e l’Ungheria

Per questo tanta attenzione sta ricevendo la riforma ucraina, sia da parte delle autorità nazionali, sia da quelle europee che pongono molta attenzione sullo stato di salute delle Corti costituzionali nazionali. E non da ora, specie in riferimento a Polonia e Ungheria.

Da noi si prevede un modello di nomina “misto”, che fino ad ora ha dato buona prova. Dei quindici giudici costituzionali – che debbono tutti essere giuristi qualificati – un terzo è nominato dal Presidente della Repubblica, un terzo è eletto dal Parlamento in seduta comune con una maggioranza qualificata e un terzo è eletto dalle supreme magistrature: Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti.

Con un sistema di questo genere, è molto difficile che una sola parte politica possa avere il controllo della maggioranza dei giudici della Corte.

La maggioranza qualificata

Anche per i giudici di nomina parlamentare – la più politica delle tre componenti – si prevede che l’elezione avvenga a maggioranza qualificata, proprio per segnalare la necessità di un coinvolgimento delle minoranze e dell’opposizione nelle nomine in una istituzione che è di garanzia per tutti, come ha sottolineato qualche giorno fa la presidente Sciarra su questo giornale.

Come accade in molti Paesi, anche in Italia si prevede il coinvolgimento di istituzioni politiche; ma a differenza di altre esperienze, il nostro sistema finora ha scongiurato il rischio di consegnare una istituzione di garanzia – qual è la Corte costituzionale – a una logica di parte.

Se l’opinione pubblica vedesse nei giudici costituzionali dei politici con la toga – ha scritto qualche anno fa Steven Breyer – la fiducia e la credibilità della Corte sarebbe danneggiata e l’istituzione gravemente indebolita.

Per addizione

La forza delle Corti costituzionali sta e cade con la loro neutralità. La nostra Costituzione, molto realisticamente, prevede che alla neutralità si giunga più per addizione, che per sottrazione.

Per capire la differenza, può aiutare un paragone con la scala cromatica, in cui i colori neutri per eccellenza sono il bianco e il nero. Il bianco è formato dalla somma di tutti i colori dello spettro elettromagnetico. Il suo opposto è invece il nero, che è dato dall’assenza di tutti i colori. Il nostro sistema ha scelto il bianco.

Fuor di metafora, c’è una neutralità che si raggiunge per sottrazione rispetto alle singole posizioni culturali e una neutralità che si raggiunge per addizione, mettendo insieme tanti punti di vista.

La somma dei punti di vista

Sotto il primo aspetto, ai giudici costituzionali certamente è richiesto di agire sempre in piena indipendenza e per questo, ad esempio, si prevede un rigoroso sistema di incompatibilità.

Ma non basta. Per far sì che tutti si possano rispecchiare nell’istituzione che garantisce la carta fondamentale, il nostro modello di Corte costituzionale esalta la somma dei punti di vista.

Nel farlo, valorizza le diversità e il pluralismo, quale via da percorrere per giungere a quella neutralità che è richiesta a tutte le istituzioni di garanzia a cui è affidato il compito di garantire i fondamenti della convivenza civile.

In questo la storia della Corte costituzionale italiana può offrire più di uno spunto di ispirazione per quei Paesi – come l’Ucraina – che sono seriamente impegnati nella ricerca di una propria via per irrobustire i presidi di garanzia del costituzionalismo, come pure per quelli che stanno attraversando periodi di crisi, dentro e fuori l’Unione europea.

(*) Marta Cartabia, professoressa di Diritto costituzionale nell’Università Bocconi di Milano, presidente emerita della Corte costituzionale italiana, componente della Commissione di Venezia. Estratto dalla Conferenza tenuta al DAI/Deutsch-Amerikanische Institut di Heidelberg, 20 giugno 2023.

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