Lotta al Covid, focus antivirali: qualità e diffusione del medicinale-chiave ma ancora poco utilizzato in Italia

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Tra le opportunità di cura del Covid, grande importanza vanno assumendo gli antivirali. Ecco una guida al medicinale chiave nella lotta al virus anche perché permette di evitare l’ospedalizzazione che pesa sia sui conti dell Servizio sanitario nazionale sia sulla tenuta psicologica degli infettati, soprattutto i più anziani e/o fragili. Un farmaco importante ma finito l’effetto del quale spesso il virus può tornare.

Farmaci antivirali: quali sono?

Gli antivirali per Covid-19 approvati dall’Aifa sono il Veklury (nome commerciale Gilead del principio attivo remdesivir), il Lagevrio (nome commerciale Merck del principio attivo molnupiravir) e il Paxlovid (nome commerciale Pfizer del farmaco composto dai principi attivi nirmatrelvir e ritonavir). Sono indicati per arrestare la replicazione del virus nei pazienti a rischio di forme gravi della malattia, evitandone il ricovero in ospedale.

Paxlovid: è una combinazione di Nirmatrelvir (antivirale specifico contro Sars-CoV-2) e di ritonavir, vecchio antivirale utilizzato contro l’Hiv. Si somministra oralmente, tramite due compresse diverse che contengono i due principi attivi. L’Ema ha raccomandato il suo uso per il trattamento del Covid-19 in adulti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare – e quindi hanno ancora una forma lieve-moderata di Covid – e che sono a maggior rischio di progredire verso la forma grave della malattia. Per questi pazienti, se somministrato entro 5 giorni dalla positività, il Paxlovid può ridurre dell’89% i ricoveri e decessi per Covid-19: lo mostrano analisi pubblicate sul New England Journal of Medicine.

Veklury: è un antivirale che l’Ema raccomanda per gli adulti e gli adolescenti di età pari o superiore a 12 anni, con polmonite che richiede ossigeno supplementare. E per adulti che, pur non necessitando di ossigeno supplementare, sono esposti a un richio maggiore di sviluppare una forma grave di Covid-19. Si somministra per infusione in vena (200 mg il primo giorno, e poi 100 mg una volta al giorno).

La durata complessiva del trattamento deve essere compresa tra 5 e 10 giorni per gli adulti e gli adolescenti con polmonite e necessità di ossigeno supplementare. Invece per gli adulti a rischio che non necessitano di ossigeno supplementare, il trattamento dura tre giorni e va iniziato il prima possibile dopo la diagnosi di Covid-19 ed entro 7 giorni dalla comparsa dei sintomi.

Lagevrio: è un antivirale orale. Il suo utilizzo, secondo l’autorizzazione dell’Aifa, è indicato entro 5 giorni dall’insorgenza dai sintomi per il trattamento di pazienti Covid-19 non ospedalizzati, con malattia lieve-moderata e a rischio di contrarre la forma grave della malattia. Tra i fattori di rischio che prevedono la prescrizione di molnupiravir: insufficienza renale cronica (esclusi i pazienti in dialisi), tumori solidi o del sangue in trattamento, immunodeficienza primaria o acquisita, obesità, malattia cardiovascolare grave, diabete mellito non compensato. Il trattamento prevede l’assunzione di 4 compresse da 200 mg due volte al giorno, per cinque giorni. Ad oggi il farmaco non è raccomandato per i minori di 18 anni e per le donne in stato di gravidanza o allattamento.

Negli studi valutati dall’EMA, Lagevrio ha ridotto al 6,8% il rischio di ricovero in ospedale delle persone positive al Covid-19 e maggiormente a rischio di sviluppare la forma grave della malattia.

Come agiscono?

Paxlovid: il nirmatrelvir è un inibitore della proteasi: una volta entrato nelle cellule, inibisce l’attività di un enzima (la proteasi virale 3CL) usato dal virus per assemblare le sue proteine. Così il virus non può più replicarsi. Il ritonavir serve ad aumentare la durata dell’azione del nirmatrelvir, rallentandone la degradazione. Siccome la fase in cui il virus si replica di più è la fase iniziale dell’infezione, ovvero i primi cinque giorni, è importante che l’antivirale sia somministrato quando il paziente è ancora in questa fase. Dopo si perde efficacia, perché a quel punto i maggiori danni al paziente sono fatti dalla risposta immunitaria al virus che si è già replicato a sufficienza.

Veklury: il principio attivo, remdesivir, ferma la replicazione del virus nelle cellule inibendo l’enzima virale Rna polimerasi, usato dal virus per copiare il proprio materiale genetico e formare nuovi virioni.

Lagevrio: aumenta il numero di mutazioni nell’Rna del virus, secondo un meccanismo definito “catastrofe di errori virali”: l’accumulazione di errori nel genoma del virus, indotta dal farmaco, rende il virus incapace di replicarsi. Un nuovo studio pubblicato sugli Annals of Internal Medicine – tra gli autori anche l’infettivologo Matteo Bassetti – mostra che il farmaco riduce la necessità di interventi respiratori e di visite d’urgenza per i pazienti a rischio.

Chi può prescriverli?

Secondo direttive Aifa, “la selezione del paziente è affidata ai medici di medicina generale, a quelli delle Usca, che possono indirizzare i pazienti affetti da Covid di recente insorgenza alla struttura presso quale effettuare la prescrizione” (ovvero i centri specialistici Covid-19 individuati dalle Regioni).

Dal 21 aprile, il Paxlovid può essere prescritto anche dai medici di medicina generale, ed è disponibile – su ricetta del medico e senza costi a carico del cittadino – nelle farmacie su tutto il territorio nazionale (prima di quella data i medici di famiglia potevano solo indicare il paziente, perché fosse trattato negli ospedali e strutture designate, e il farmaco non era distribuito nelle farmacie). Ad oggi gli antivirali appaiono sottoutilizzati nel nostro Paese: come spiegato a Repubblica dall’infettivologo Andrea Gori, delle 600.000 confezioni di pillole anti Covid acquistate a gennaio 2022, in questi sei mesi ne sono state usate solo poco più di 52.000.

Effetti collaterali?

Paxlovid: gli eventi avversi registrati durante gli studi clinici sono: indebolimento del gusto (6%), diarrea (3%) e ipertensione (1%).

Veklury: l’effetto collaterale più comune (presente in circa il 10% dei casi) è la nausea, unita a un aumento dei livelli di enzimi epatici nel sangue, segno di problemi a carico del fegato.

Lagevrio: gli effetti collaterali più comuni: nausea, diarrea, capogiro (circa 10% dei casi).

(fonti: Ema, Aifa, Fondazione Veronesi)

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