Meteo favorevole, a Lampedusa si attende ondata di arrivi. Ma l’hospot resta in emergenza

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LAMPEDUSA – Cielo basso, vento quasi inesistente, mare ormai calmo al di là del porto, Lampedusa si prepara a giorni di bonaccia. Per i pescatori significa tornare in mare e poter gettare le reti, per chi si occupa di soccorso in mare, nuovi giorni di allerta. Nessuno può dirlo in anticipo, ma il meteo che ha iniziato a mostrarsi clemente sulla sponda sud del Mediterraneo già dalla notte di ieri, fa temere una nuova ondata di arrivi. E il timore è che l’hotspot di contrada Imbriacola non sia in grado di gestire nuovi ingressi.  

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Nonostante siano iniziati i trasferimenti, il centro rimane stracolmo. In mattinata sono partire circa duecento persone dirette a Porto Empedocle, un gruppo di famiglie ha lasciato l’hotspot a bordo di due pulmini diretti in aeroporto da dove partiranno con un volo militare diretto a Bologna, altre quattrocento persone dovrebbero lasciare Lampedusa nel pomeriggio. Ma anche così, in hotspot rimarrebbero quasi milleottocento persone, se non di più.  

Gli aiuti stanno arrivando. Il cibo, l’acqua potabile, con il traghetto arrivato in mattinata sull’isola anche vestiti e coperte. Nella struttura però l’emergenza continua. Dietro l’alto cancello grigio che blocca l’ingresso, si vedono ancora persone accovacciate sotto gli alberi, appoggiate ai pochi muretti, sedute in ogni angolo disponibile. Non sono molti. Nonostante donne e bambini, secondo quanto annunciato dal presidente della Regione siciliana Renato Schifani, abbiano avuto priorità nei trasferimenti, nel centro se ne vedono ancora tanti correre scalzi da una parte all’altra del centro. Per loro, le “metalline”, i sottili fogli termici consegnati dopo lo sbarco, oggi sono mantello da usare per gioco, ma ci sono ancora molti adulti che le portano avvolte ai piedi come se fossero scarpe. Arriveranno anche quelle ha promesso il presidente Schifani.  

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Al molo Favaloro intanto arriva finalmente il camion dei rifiuti per rimuovere quintali di vestiti zuppi d’acqua e benzina, taniche di carburante, giubbotti salvagente distrutti, zaini ridotti a cenci, spazzatura. E continua il censimento delle imbarcazioni trainate a riva nei giorni di arrivi ininterrotti. Ci sono vecchi e scrostate barche grigie di legno, barchini, barchette in vetroresina che sembrano quasi giocattoli, le nuove temibili tinozze in ferro, dalla prua acuminata e i bordi taglienti che spaccano persino le motovedette, bassissime sull’acqua ed estremamente instabili, canotti. Non è un modo di dire. Sono due, uno azzurro e uno verde, galleggiano confusi fra le decine di barche ormeggiate alla rinfusa al molo.

Dalla Tunisia ormai si scappa con ogni mezzo disponibile. Lo fanno i migranti africani, che il presidente Kais Saied ha dichiarato ufficialmente “persone non grate”, mettendo in imbarazzo persino il Fondo monetario internazionale, che pare abbia deciso di sospende una maxiprestito in arrivo. Lo fanno i tunisini, soffocati da una spirale inflattiva che ha fatto schizzare i prezzi alle stelle e ormai costretti a sopportare a bocca chiusa la progressiva trasformazione del governo in un regime, con un Parlamento votato solo dall’8 per cento della popolazione, una magistratura alle dirette dipendenze del presidente e spazi democratici sempre più ristretti, se non inesistenti. Ma per l’Italia rimane Paese sicuro. E molti rischiano il rimpatrio, senza neanche avere la possibilità di spiegare perché sono fuggiti.  

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