Mezzo milione di famiglie tagliate fuori dall’Assegno di inclusione. Il governo corre ai ripari e cambia i requisiti

Pubblicità
Pubblicità

ROMA — Il governo pensa di cambiare in corsa le norme sull’Assegno di inclusione, il nuovo Reddito di cittadinanza. Di ammorbidirle, renderle meno rigide. Troppe famiglie che vivono in povertà assoluta vengono respinte. I numeri sono impietosi. A luglio, prima della stretta meloniana via sms, si contavano oltre un milione di famiglie col Reddito. Ora siamo a meno della metà, attorno alle 480 mila. Il numero è talmente basso, molto al di sotto anche del target di Palazzo Chigi fissato a 737 mila, che ieri – giorno del secondo pagamento di Adi – è stato di fatto oscurato. Inps era pronta ad aggiornare il conteggio. Ma il ministero del Lavoro ha fermato il comunicato. Niente dati, flop nascosto.

Addio al Reddito e nuovi sussidi: cortina di fumo sui numeri

La retromarcia del governo

La modifica dei paletti per l’accesso all’Adi è di per sé clamorosa. L’erede del Reddito nasce col decreto Primo Maggio. Ed è in vigore solo da un mese e mezzo. Le domande sono partite il 18 dicembre. E ne sono arrivate molte. Fino al 25 gennaio, ultimi dati Inps ufficiali, erano 651.665. Ma il tasso delle respinte vola altissimo: il 28%. Quasi una su tre viene cestinata. Tra i motivi prevalenti indicati da Inps, il superamento delle soglie di Isee e reddito familiare, in apparenza lasciati simili al Reddito. Il motore inceppato dipende però da una “scala di equivalenza”, il moltiplicatore che trasforma il requisito reddituale tenendo conto dei componenti della famiglia, molto penalizzante.

Ecco il Reddito dimezzato: platea di beneficiari ridotta e 2,5 miliardi di spesa in meno

Il nodo della scala di equivalenza

Ogni adulto che non ha carichi di cura conta zero nella scala, che sia un figlio maggiorenne o anche la mamma. Visto che per carichi di cura si intende un figlio fino a tre anni. Superata quell’età del piccolo, l’adulto esce fuori dalla scala. Pesa anche l’esclusione della quota affitto che prima si sommava al reddito familiare. Una famiglia con figli minori, ma sopra i tre anni, e in affitto è quasi spacciata. In difficoltà anche i nuclei numerosi. Il requisito di accesso è una variabile cruciale, è la porta da cui si entra nella misura. Ma queste distorsioni pesano anche dopo, per quanti riescono ad accedere, nel conteggio dell’assegno perché in molti casi l’abbassano. Più difficile quindi prendere l’Adi. E spesso arrivano meno soldi. Unica eccezione: se ci sono disabili.

Nuovo Reddito, domani assegno solo per 288 mila famiglie

I tecnici al lavoro per cambiare l’Adi

Ecco spiegato il basso numero di Assegni di inclusione erogati. «Troppi esclusi» anche per la Caritas e l’Alleanza contro la povertà che sono tornate a farsi sentire. Bankitalia e diversi economisti ripetono il concetto da mesi, avvertendo del concreto rischio di dimezzare la platea. E così acquisire ingenti risparmi, almeno 4 miliardi su una misura che prima ne costava 8.

La missione quasi impossibile di raddrizzare un albero nato storto è stata affidata ora dalla ministra del Lavoro Marina Calderone a Natale Forlani, ex segretario confederale Cisl, ex presidente di Italia Lavoro (antenata di Anpal), coautore del Libro Bianco di Marco Biagi. Forlani ha ereditato dalla sociologa Chiara Saraceno la presidenza del Comitato per la valutazione delle misure di contrasto alla povertà, istituito dalla legge sul Reddito di cittadinanza nel 2019.

Il destino ignoto degli occupabili

Toccherà a lui mettere mano ai paletti, forse rivedere proprio quella scala di equivalenza che ha così tante trappole da scalzare migliaia di famiglie, milioni di persone. Difficile un ripensamento dell’intera struttura del nuovo sussidio meloniano che ruota attorno a un’artificiosa distinzione tra “occupabili” e “non occupabili”. I primi tali solo per l’anagrafe e la composizione familiare: adulti tra 18 e 59 anni, senza figli minori, disabili e over 60 nel nucleo.

Di questi, buttati fuori dal Reddito in piena estate, non si sa niente. Neanche un comunicato per dire quanti hanno ricevuto l’sms (almeno 200 mila), quanti hanno poi richiesto l’altro sussidio inventato dal governo Meloni e partito il primo settembre: il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) da 350 euro pagato solo per il mese in cui ci si attiva, ad esempio seguendo un corso di formazione o anche facendo un semplice colloquio di orientamento ai centri per l’impiego.

Un’indennità a tempo che dura 12 mesi al massimo, non ripetibili. La premier Meloni nel question time di gennaio parlava di 27 mila assegni pagati. Ma non si sa per quanti mesi – uno solo, due? – e per quali corsi. Zero dati. Silenzio.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *