“Noi, molestate dai colleghi in corsia”. Il Me Too delle donne in camice bianco

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Francesca ricorda le nocche dei colleghi che battono sulla porta: «Apri, che ti battezziamo». C’è Stefania, che ricorda l’angoscia delle mani del suo superiore sul seno. E ci sono Stella, Natascia, Carla: centinaia tra dottoresse, infermiere e specializzande raccontano sul canale Instagram Mammeanudo le molestie sessuali, verbali e psicologiche subite.

Migliaia di testimonianze, ma solo una su dieci denuncia

E sono migliaia — 3.242 — quelle coinvolte nella ricerca sulle discriminazioni di genere fatta dall’associazione di riferimento per le chirurghe, Women in surgery (Wis). Protette dall’anonimato di un questionario da 83 domande, chirurghe e specializzande denunciano che il 57% delle prime e il 65% delle seconde ha subito, o subisce, violenze di natura sessuale. È la prima volta che il tema vede la luce perché «sorprendentemente, o forse no, nel nostro Paese nessuno lo ha mai sollevato», si legge nel paper redatto da Gaya Spolverato, presidentessa di Wis Italia. Le denunce, pochissime, atterrano male: del 10% di donne che hanno segnalato l’abuso solo il 25% è stato ascoltato (senza ripercussioni sull’autore). Un altro 24% non è stato creduto e si è beccato un «sei esagerata». «Dovremmo girare col registratore», dice C., cardiologa che parla «per esperienza personale».

“Disse: una trombabile potevate prenderla”

Tra quelle che non hanno denunciato — quasi tutte — c’è Flavia, infermiera che per otto anni ha lavorato al Madre Giuseppina Vannini di Roma «con un anestesista che molestava tutte e faceva allusioni sulle cose che ci avrebbe fatto». Ma chi l’avrebbe ascoltata? «Suore, che avevano poca voglia di richiamare l’attenzione». Le testimonianze parlano di uomini — medici, professori, infermieri — con “mani morte”, che tirano a indovinare le misure del seno, che ti assumono ma «guai se resti incinta» o che «le ostetriche sono tutte cesse, una trombabile potevate prenderla». È «ricorrente l’atmosfera di scherno sessista — dice Spolverato a Repubblica — che oltretutto, psicologicamente, ha un effetto inibitore per la scalata delle donne verso posizioni apicali».

“La prima notte di guardia mi volevano violentare”

Chi diventa primaria si sente dire che «ha ancora i lividi alle ginocchia per quanti ne ha succhiati». Poi c’è il terrore vero: i turni di guardia. Francesca Farina, anestesista, in una clinica privata di Padova, ha rischiato di essere stuprata da un gruppo di colleghi. E non una volta sola. La prima è coincisa con la prima guardia. «Una collega mi disse di chiudermi a chiave e di non aprire per nessun motivo». In caso di emergenze, le spiegò, doveva farsi accompagnare da un’infermiera. «Poi capii: quella notte bussarono in tre. Lei sapeva». «Apri la porta che ci divertiamo, è il tuo battesimo», dicevano spingendo la maniglia. Così per mesi.

“Non puoi denunciarlo, ha problemi di famiglia”

L’approccio predatorio, si evince dal dossier, è spesso evidente sin da subito. E se le strutturate sono “solo” un gioco erotico, le specializzande sono carne da macello: quando lo era Farina, un noto primario di Padova le promise l’esclusiva in sala operatoria se fosse andata in hotel con lui, «come fosse prassi». Quando specializzanda lo era Stefania Pratesi, a Pavia, uno strutturato approfittò di un controllo alla spalla per toccarle il seno,«e toccava più del necessario anche le pazienti». Cambiando scuola di specializzazione, ancora Pratesi si scontra con un professore su questioni professionali. Lui le dice: «Ti serve uno che ti domi, qualche volta ti cavalco io». Il primario cui si rivolge le impone di soprassedere: il professore è già stato denunciato, ma «ha problemi di famiglia».

“Non ci riconoscono come medici, restiamo ragazze da palpare”

Dalle violenze più gravi ai contatti fisici umilianti, spiega Stella, che lavora in un ospedale di Milano: «Non ci viene riconosciuto il ruolo di medici: restiamo “signorine” che devono sentirsi lusingate dalle palpate e battute di uomini più anziani dei nostri genitori». Racconta che è a colloquio con i genitori di un neonato morto poco prima quando un infermiere passa e la chiama Jessica, per ridere. «Mi spiega che ho la faccia da Jessica». E secondo la capa reparto non vale la pena di intervenire: quell’infermiere scherza sempre così. Quando era al terzo anno di Medicina, un cardiochirurgo usava il suo fonendoscopio solo per poterglielo rimettere al collo «con fare viscido», e diceva a tutti che «la pressione dei pazienti era alta per colpa mia. Un altro professore ha interrotto la lezione con 200 studenti: non avrebbe ripreso finché non gli avessi rivelato da quale etnia derivava il mio fascino esotico».

“Niente figli: ti assumo, ma te la cucio per due anni”

Carla denuncia lingua sul collo e palpate di sedere ricevute dal coordinatore infermieristico durante le dimostrazioni: «Lo abbiamo segnalato tutte, ma è ancora lì». La severità, forse, è destinata solo a chi resta incinta o potrebbe farlo: le donne. «Ti assumo ma te la cucio per due anni» o anche: «La cardiochirurgia non è l’ambiente più indicato. Vi conosco voi donne: dite di non voler avere figli ma poi vi chiudete in casa».

“I molestatori sanno che non avranno ripercussioni”

Sasha Damiani, la dottoressa che sta dietro all’account Mammeanudo, racconta di contratti a tempo determinato con clausola che vieta le gravidanze e, nel merito delle molestie, spiega che mancano strumenti di sostegno per le vittime. Chi subisce abusi può al massimo rivolgersi ai Cug, Comitati unici di garanzia per le pari opportunità. Spazi (poco noti) che esistono, ma spesso non funzionano perché sono occupati da interni: quando non abusanti, loro amici e sottoposti. Damiani è convinta che le cose cambierebbero se fossero gestiti da staff esterni, «formati sul tema a soprattutto liberi da conflitti d’interesse». Qualcuno che abbia «potere decisionale, e che ascolti — incalza Spolverato — perché oggi gli autori di molestie sanno che non avranno ripercussioni, mentre chi denuncia sì».

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