Non passa in Veneto la legge sul fine vita. Si spacca la destra decisivo un voto dem

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VENEZIA — Che beffa. Per un solo voto, e di una consigliera cattolica del Pd, non è passata la legge veneta di iniziativa popolare sul suicidio assistito. Legge regionale, che avrebbe dovuto regolamentare quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale, e cioè che un cittadino ha diritto a scegliere se morire, in presenza di quattro requisiti: patologia irreversibile, trattamenti di sostegno vitale; sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili. E in grado di esprimere un libero consenso. La Regione Veneto poteva essere la prima in Italia a stabilire nel concreto i tempi e i modi, ma così non è stato, dopo una giornata di discussioni, dichiarazioni, ambiguità varie, e caccia all’ultimo voto. Sostenuta dal presidente leghista Luca Zaia ma osteggiata da gran parte del centrodestra, la legge è stata affondata.

Come ha riassunto Zaia alla fine di tutto, «da domani mattina i pazienti terminali potranno comunque chiedere l’accesso al fine vita, alla luce della sentenza della Consulta del 2019. Perché questo progetto di legge non serviva ad autorizzare il fine vita, ma stabiliva solo i tempi delle risposte ai malati, e le modalità di coinvolgimento delle Ulss». Infatti in Veneto una persona ha già ottenuto il suicidio medicalmente assistito, lo scorso luglio (era una donna che si chiamava “Gloria”), e un altro caso si è concluso con il riconoscimento di questo diritto: Stefano Gheller, vicentino di 50 anni, malato di distrofia muscolare. A ottobre l’Ulss 7 Pedemontana lo ha autorizzato a procedere con il suicidio assistito, decisione che prenderà quando lui vorrà, «per una scelta personale di libertà», sono le sue parole.

Dunque, è già possibile, come spiegava ancora una volta, davanti alla sede del Consiglio regionale, lo psichiatra Diego Silvestri dell’associazione Luca Coscioni. «I consiglieri veneti possono decidere se agevolare i pazienti, i famigliari, e anche la sanità». Sottolineando che «i malati sono abbandonati, spesso ignorano i loro diritti», e le famiglie sono nella disperazione. I medici? Pure loro chiedono regole certe. E c’è il rischio «di ritrovarci la Svizzera in casa», cioè che chi può (chi ha i mezzi per farlo) trova una soluzione alla propria sofferenza, e chi non può muore tra sofferenze atroci, e non per modo di dire.

Eppure, questa legge di iniziativa popolare, presentata con oltre novemila firme, non ha superato la prova del voto, e tornerà quindi in commissione per poi arenarsi chissà dove. «È la democrazia», diceva Zaia, che pure si è speso per la sua approvazione, e ha sempre sostenuto la necessità di dare regole certe alla materia. «Se accadesse a me, vorrei poter decidere», e soprattutto avere risposte sicure in tempi rapidi: 20 giorni per decidere, era la proposta, più sette per dare esecuzione alla decisione. È finita con 25 voti a favore, e 25 contro (22 no, più 3 astensioni che valgono come voto contrario).

Zaia: «Massimo rispetto per i consiglieri. Soprattutto su un tema etico è fondamentale che tutti abbiano libertà di pensiero e di espressione. La mia parte politica ha lasciato totale libertà di pensiero e di espressione, penso che lo si potrà evidenziare dalle votazioni». La segreteria nazionale del Pd, in linea con tutta l’opposizione, invece aveva dato un’indicazione chiarissima: sì alla proposta di legge. Ma Anna Maria Bigon ha deciso di astenersi, in nome «della libertà di coscienza che è prevista dal mio partito». Bigon è veronese e cattolica, e nel suo intervento aveva sottolineato l’importanza delle cure palliative e degli hospice, e lì tutti avevano capito che ogni sforzo di farla votare sì, o di uscire dall’aula in modo da abbassare il quorum, era fallito. E nonostante le molte telefonate romane ricevute («Ma non la Schlein, non mi ha chiamata»), ha resistito, e così è andata. Infine è praticamente fuggita verso il motoscafo della Regione che l’avrebbe portata in stazione, inseguita da molti accidenti, da colleghi di partito e non.

E c’è già chi pensa a Zaia “bocciato” dalla sua maggioranza: 16 leghisti su trenta hanno votato sì, e due si sono astenuti. La Lega, dunque, si è ritrovata divisa, nella libertà di pensiero. Fratelli d’Italia s’è opposta, così come Forza Italia, senza lasciare margini di mediazione. E così: un governatore “al crepuscolo”, diceva ieri qualcuno nei saloni del Consiglio, affacciato sul Canal Grande. O, alla conta dei voti, protagonista invece di una nuova maggioranza trasversale, che comprende il Partito democratico, il che sembra incredibile.

Mah, l’uomo sembrava più che sereno, e convinto che sia «immorale che un Paese gestisca un tema così profondo con una sentenza della Corte costituzionale», invece che con una legge del Parlamento. E ha ricordato a tutti il caso di Eluana Englaro. «Ero in Parlamento quando il padre Beppino chiese di staccare le macchine a sua figlia. Ma Eluana morì perché la sentenza di un Tar decise di dare l’ok alla sospensione dei sostegni vitali». Non il Parlamento, ma un giudice. «Io invece penso a chi è a casa o su un letto di ospedale, che deve avere messaggi assolutamente chiari».

Intanto, fuori dall’imponente Palazzo Ferro Fini, una manifestazione di Pro Vita (una ventina, malcontati) con il rosario recitato in latino, la bandiera con la Madonna di Schio sventolata davanti ai (pochi) turisti a spasso per le calli. Dentro, alcuni interventi sulla stessa linea: «Ma vogliamo davvero questo turismo migratorio, di gente che verrà in Veneto a suicidarsi?». E un altro: «I valori del nazismo e del nichilismo passano per le arti mediche», come se ci fosse un esercito di medici pronto a eliminare chiunque lo chieda. Insomma, il livello dei “contrari era questo.

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