“Non volevo, invece voterò”. Pescara crede in D’Amico e la costa spinge la rimonta

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PESCARA – Sul treno che dall’Aquila conduce a Pescara, con cambio a Sulmona, si ascoltano discorsi che la sinistra farebbe bene a non ignorare. Su ospedali che non funzionano, su scuole accorpate. Il vagone dondola semivuoto. «Non si arriva maiiii», grida una signora al telefono nel silenzio. È vero. Ma proprio per questo vale la pena prenderlo, se si vuole un po’ capire. L’Abruzzo interno, dalla Marsica all’Aquilano, che si è consegnato alla destra, e che domenica potrebbe far vincere, seppur di poco, Marco Marsilio, esprime la rivolta di chi da troppo tempo si è sentito trascurato nei suoi bisogni.

A Pescara, tre ore dopo, si sbarca invece come dentro un’euforia: sole caldo, vitalismo metropolitano, giovani che si corteggiano in via Umberto. «La Los Angeles del Sud», la definì Guido Piovene, forse esagerando. È il regno di Zeman: a proposito, auguri mister. L’intera costa, ti raccontano, il 10 marzo sarà progressista. Prevale la contagiosa convinzione che Giorgia Meloni farà i conti con un altro rovescio.

Ma basterà per ribaltare il pronostico ostile? «Guardi qui», scrolla il telefono Giovanni Di Iacovo, 48 anni, seduto in un bar di viale Marconi. È una delle intelligenze della città, già assessore alla cultura con casa pure a Berlino: «In diciotto oggi mi hanno chiesto come si fa a rinnovare la tessera elettorale, dopo la Sardegna vogliono tornare a votare. Diciotto! C’è un trenta per cento di indecisi, ma se un quarto di loro andrà al seggio ce la facciamo». Pescara ha 140 mila abitanti, la patria di D’Annunzio e di Ennio Flaiano (a cui sarebbe il caso di dedicare una casa museo), l’essere irregolare è insito nel carattere. Non a caso vi studiò Andrea Pazienza, detto Paz, il grande fumettista, a cui è dedicata una via. «Non abbiamo un vero passato, né monumenti, proprio per questo siamo più leggeri e infatti vi domina un’estroversione culturale con pochi uguali. Quando facevo l’assessore non mi potevo parare da quante proposte mi piovevano addosso. È anche il luogo d’elezione di Millo, lo street artist. Solo che il sindaco di centrodestra, Carlo Masci, ha come soffocato questo slancio. Ordinanze fitte di restrizioni, attacchi alla movida, creatività repressa. Masci è come Truzzu a Cagliari. Ciò peserà».

Ne deve essere convinto pure Luciano D’Alfonso, 59 anni, il padre padrone del centrosinistra, che si è inventato la candidatura di Luciano D’Amico che lui chiama «un Prodi riuscito». D’Alfonso è più declamatorio del solito («vinciamoooo!»), fa citazioni («Montanelli diceva che nei momenti che contano gli italiani ritrovano la capacità di distinguere il bene dal male»), giura che il suo pupillo ha dalla sua ventimila studenti «che l’adorano», mentre Marsilio ha «regalato quattrodici milioni al Napoli per fare il ritiro a Castel di Sangro», e poi, dopo avere preso fiato, annuncia: «Noi non siamo più quelli di Fontamara!». Insomma, D’Alfonso è convinto di vincere.

Anche a Teramo (la sua provincia) e Chieti il sentimento popolare pare sorridere al rettore di origini contadine. Un miracolo l’ha già realizzato: quello di riunire la riottosa confederazione del centrosinistra. «Nella sfida tra candidati vince D’Amico, ma la destra ha liste più forti», ragiona l’avvocato Alberto Dell’Orletta, vicesindaco di Pineto. «Il clima dopo la Sardegna è cambiato, a destra si sono fatti nervosi». «Marsilio è stato inesistente. E in Italia dopo due anni ci si stanca della premier», si fa coraggio Di Iacovo.

Davanti al Comune incontriamo Lucia Zappacosta, 44 anni, docente all’Istituto per il design, curatrice di mostre. Saluta continuamente persone. Alcuni sono diretti al vicino comizio di Giorgia Meloni. Passa una signora che ascolta i nostri discorsi, s’intromette: «Non volevo votare, invece andrò, mi ha convinto Alessandra Todde». Zappacosta è tornata dopo esperienze a Parigi e Barcellona, dice che questo è il grande teatro «dell’underground, delle subculture che poi diventano mainstream, il sindaco Masci ha vietato i concerti nei locali, un proibizionismo che gli si ritorcerà contro». Pure lei se la prende con Marsilio «il romano», dice «l’ho visto qui solo due volte alle inaugurazioni». D’Amico invece è «un visionario. La partita si decide nel convincere gli indecisi. Fino a due settimane non ci credeva nessuno, ora siamo come dentro un’onda». Non c’è però il voto disgiunto come a Cagliari.

Domenica è anche Flaiano contro D’Annunzio. Viva Flaiano! A sera la pioggia non ferma lo struscio in Corso Mantoné, c’è chi arriva anche dalle province vicine, ristoranti pieni, un senso di sé tipico delle città di mare. «Quando mi sono buttato in politica ho fatto una mattità», ci ha detto nel pomeriggio Di Iacovo. Mattità, una follia, ma veniale. La parola ci cova dentro. Ecco, nelle urne serve una mattità.

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