Nuovo Pnrr, tensione Giorgetti-Fitto. Servono coperture per 15 miliardi

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ROMA – Gemelli diversi del governo Meloni. Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto festeggiano successi europei su conti e Pnrr. Ma dietro le quinte, ora anche davanti per la verità, sono scintille.

Il ministro Fitto – titolare di Pnrr, Sud, Politiche di coesione, Affari europei – dice e ridice a tutti, l’ultima volta ieri nel question time alla Camera, che «non abbiamo tagliato nulla, neanche gli asili nido: chi lo dice, dice sciocchezze, perché le opere spostate fuori dal Pnrr troveranno una copertura alternativa».

Il collega Giorgetti, ministro dell’Economia, teme di essere lui a doverle trovare queste coperture. E che alla fine salti l’equilibrio di bilancio, faticosamente tenuto a galla da una manovra “inemendabile” perché anche i centesimi sono contati.

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La tenuta dei conti e i calcoli della Ragioneria

La Ragioneria sta facendo i calcoli, dal giorno in cui la Commissione europea ha dato il via libera alla rimodulazione italiana del Pnrr. Tra opere uscite ed altre entrate, ballerebbero 15 miliardi da coprire con soldi freschi. Perché gli investimenti sono pur sempre spesa e quindi debito pubblico.

Travasarne alcuni verso fondi non ancora definiti o anche solo spostarli verso gli ultimi due anni di esecuzione del Pnrr (2025 e 2026) significa di fatto chiedere un anticipo di bilancio. Quel bilancio pubblico ora sorvegliato dal ministro Giorgetti e contenuto già a fatica, tra la bolla del Superbonus e l’impennata della spesa per interessi sul debito.

Il titolare dell’Economia teme di vanificare ogni sforzo fatto per evitare le bocciature di quattro agenzie di rating e della stessa Commissione di Bruxelles sulla legge di bilancio. Ora che in Europa si va verso la chiusura di due partite delicatissime: Mes e nuovo Patto di stabilità.

Il nervosismo di Giorgetti

Si spiega così il suo nervosismo che ha raggiunto un acme pubblico durante l’incontro voluto dalla premier Meloni con i sindacati, martedì nella Sala Verde di Palazzo Chigi.

Mentre Fitto ripeteva alle sigle presenti – in ordine alfabetico di convocazione: Cgil, Cida, Cisal, Cisl, Confsal, Ugl, Uil, Usb – che «nessun progetto andrà perso, neanche quelli dei Comuni», Giorgetti scuoteva vistosamente la testa in segno di palese dissenso.

A un certo punto è uscito dalla sala, urlando al telefono frasi di malcontento proprio sul Pnrr. Rientrando si è poi sfogato con i segretari dei sindacati che gli chiedevano lo stralcio dell’articolo 33 della manovra, quello che taglia la pensione a 732 mila lavoratori pubblici in vent’anni.

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«Non lo togliamo, no. D’altro canto questi sono gli spazi: io non faccio austerità, ma stabilità», ha chiuso subito il ministro. Per poi dirottare il discorso sul Pnrr: «Abbiamo stralciato alcuni progetti perché erano debito cattivo. E d’altro canto l’Italia ora è rimasta sola in Europa a chiedere di scorporare la spesa per investimenti dal debito». Un altolà neanche troppo celato al collega Fitto. Perché senza la deroga Ue, tutto ciò che si carica lo Stato gonfia il debito.

L’altolà del Ragioniere generale dello Stato

Sabato scorso era stato lo stesso Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta a mettere le carte in tavola: «Da ieri – venerdì, ndr – stiamo lavorando sulla rimodulazione del Pnrr, studiando voce per voce l’impatto di ciò che è uscito e ciò che è entrato. In generale, il fatto di aver spostato in avanti una serie di rimborsi, per noi significa anticipare in termini di cassa più risorse».

E per essere ancora più chiaro: «Noi finanziamo il Pnrr con un fondo iscritto in bilancio, a carico quindi di risorse nazionali, a fronte delle quali ci stiamo indebitando. Compensiamo l’anticipazione a vantaggio delle amministrazioni. La azzeriamo solo una volta che la Commissione ci rimborsa quando rendicontiamo».

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I vasi comunicanti di Fitto

Ecco che i «vasi comunicanti» di Fitto – spostare opere, piccole e grandi, da un fondo a un altro, magari con cantieri in corso, imprese e lavoratori da pagare – possono ora avere un costo importante per gli equilibri dei conti pubblici. Lo sa anche il ministro che ieri, a un convegno sulla semplificazione normativa, ammetteva: «L’intervento che non arriva al completamento nei tempi previsti, te lo devi caricare nel bilancio dello Stato». Appunto.

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