Ostaggi liberati, la gioia dimezzata di chi ne è uscito vivo

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Gerusalemme — Ohad a cui hanno rubato il compleanno, Aviv e Raz a cui hanno rubato la nonna, Ruth che cuce a mano i fazzoletti per i nipoti, Hanna che è morta due volte e due volte è risorta. Abbiamo avuto 49 giorni per conoscerli. Danielle che urlava a Netanyahu, Margalit che è guarita dal cancro e fa i viaggi in Norvegia, Adina che l’hanno portata via su una motocicletta. Abbiamo avuto un mese un mezzo, il tempo che hanno trascorso in mano ai miliziani di Hamas, per scoprire tutto di loro. Della vita che avevano fino al 7 Ottobre e della vita che rivolevano indietro.

Ecco chi sono i 13 prigionieri israeliani liberati da Hamas

Nove donne e quattro bambini israeliani sono tornati a casa. Tre famiglie, i Mundar, gli Aloni, gli Asher, si ricompongono. Non del tutto, qualcuno manca. Avrham, ad esempio: 78 anni, il patriarca dei Mundar, è in un tunnel di Gaza o chissà in quale sottoscala. Il primo gruppo dei rilasciati è arrivato da poche ore e già li chiamano gli ostaggi fortunati, i salvati, quelli che hanno pescato il biglietto vincente. Le famiglie dei 212 ancora prigionieri nella Striscia fanno l’applauso, li abbracciano, in fondo è una speranza per tutti, ma insomma, la fortuna è toccata ad altri. Per adesso.

Il 23 ottobre Ohad Munder ha compiuto 9 anni, una bella festa a cui mancava il festeggiato: indisponibile causa sequestro. Gli amici l’hanno organizzata lo stesso, coi palloncini rossi da far volare nel cielo e una torta. Suo cugino Osnat era sicuro che nel marasma al kibbutz di Nir Oz, quando sono apparsi i terroristi a portare morte, Ohad avesse rotto gli occhiali. «E senza mio cugino non riesce neanche a infilarsi la maglietta del Liverpool, la sua squadra del cuore». Invece Ohad gli occhiali ce li ha ancora, eccolo con il cappellino blu dell’uomo ragno e lo sguardo perso, mentre un combattente di Hamas lo accompagna sul fuoristrada della Croce Rossa e un telefono registra l’ultimo istante della prigionia. Liberata anche sua madre Keren (54 anni, allenatrice di pallavolo) e nonna Ruth. «È un giorno incredibile, preghiamo perché tutti tornino vivi», dicono i Munder. L’incubo è finito e Ohad lo ha visto tutto, messo bene a fuoco dalle lenti dei suoi occhiali.

Il video del momento in cui gli ostaggi entrano in Israele

Qualcuno aveva subito dato per deceduta Hanna Katzir, 77 anni, del resto nessun sopravvissuto di Nir Oz aveva notizie dell’ex bambinaia che tanti bambini dei vicini aveva cresciuto. Né se ne avevano di Elad, suo figlio. Invece era viva, seppur ostaggio. A darla per morta, una seconda volta, è stata la Jihad Islamica palestinese. «Volevamo rilasciarla per motivi umanitari, ma un missile israeliano l’ha uccisa», dicevano su Telegram una settimana fa. Invece era solo terrorismo pscologico, Hanna è viva e adesso è pure libera. Un miliziano la porta in braccio fin sul mezzo della Croce Rossa. Con quel poco di forza che ancora ha, l’anziana si aggrappa al caricatore del kalashnikov dell’uomo che l’ha rapita. Elad è in qualche angolo buio della Striscia.

Forse è terrorismo psicologico il video di Danielle Aloni (44 anni), girato con la regia di Hamas e diffuso il 30 ottobre. «Avevi promesso di liberarci tutti!», urlava, cercando nel nero dell’obiettivo della telecamera gli occhi di Bibi Netanyahu. «Dobbiamo subire noi il tuo fallimento politico e militare!». Danielle e sua figlia Emilia (6 anni) sono tornate. Abitano a Yavneh, 49 giorni fa erano a Nir Oz per un pranzo dalla zia.

L’ultima volta che Yoni Asher aveva visto le sue figlie Raz (4 anni) e Aviv (2 anni) erano in una foto di finta tranquillità: sedevano a un tavolo basso, mangiavano un pezzo di torta, Raz quasi sorrideva. Yoni quella parete bianca alle loro spalle la conosce bene, è il mamad, la stanza blindata della casa di nonna Efrat, al kibbutz di Nir Oz. Dove si finisce quando le cose si mettono molto male. Nonna Efrat è stata trucidata davanti alle nipoti. La moglie di Yoni, Doron (34 anni), catturata insieme con Raz e Aviv. «Sono finalmente tornate con me, ma non festeggerò fino a quando l’ultimo ostaggio non sarà tornato a casa», promette Yoni Asher. Repubblica lo aveva incontrato la settimana scorsa. Parlava di pace e sul divano aveva fatto sedere tre fotoritratti, quello di Raz alla sua sinistra, Doron e Aviv alla sua destra. Era l’anteprima di un lieto fine.

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