Pnrr, 16 miliardi promessi dal governo per salvare i progetti cancellati. Ma ne è arrivato uno

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ROMA – Il salvataggio è ancora appeso a una promessa. Quella che Raffaele Fitto ha fatto il 27 luglio. Esattamente cinque mesi fa. Palazzo Chigi, conferenza stampa per la presentazione della proposta di revisione del Pnrr.

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Disse, il ministro con la delega al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che i progetti definanziati avrebbero trovato una nuova copertura. Fatti fuori da Next Generation EU perché in ritardo o a rischio in fase di rendicontazione, si sarebbero quindi salvati un secondo dopo lo stralcio dal decreto che finanzia le opere del Piano.

Corposo, il salvagente. Circa sedici miliardi da trovare, che sono scesi a quasi tredici dopo il ripescaggio di alcuni investimenti da parte di Bruxelles, come certificato nella versione finale del nuovo Pnrr che è stata validata l’8 dicembre dall’Ecofin.

Ma la ricerca zoppica. Arranca. Il principio di realtà l’ha svelato nelle ultime ore la Ragioneria. I conti si fanno lì, al ministero dell’Economia dove le promesse vanno incastrate con l’andamento delle finanze pubbliche.

Eccolo il dato che mette in evidenza la difficoltà di riabilitare un pezzo del Pnrr attraverso lo schema dei vasi comunicanti, che Fitto ha posto alla base del salvataggio: dal Piano nazionale complementare, il fondo “gemello” del Pnrr, potrebbero arrivare appena 1,6 miliardi.

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Il bacino è molto più ampio perché le risorse ammontano in tutto a 30,6 miliardi, ma al netto dei ritardi – è la traccia avversa della ricerca – il lavoro dei tecnici avrebbe messo in evidenza la difficoltà di sottrarre risorse a progetti già avviati.

A frenare lo smantellamento dei 30 programmi del Pnc è anche il rischio di rallentare il conseguimento dell’obiettivo Pnrr fissato al 30 giugno 2025. Entro quella data, infatti, l’Italia dovrà dimostrare di aver conseguito “una migliorata capacità di spesa delle risorse in conto capitale e un significativo assorbimento delle risorse del Pnc”, come ha ricordato la Ragioneria.

La caccia alle risorse, però, deve necessariamente accelerare perché intanto Bruxelles ha dato il via libera al Pnrr rivisto dal governo Meloni. Adesso si sa quali opere sono ufficialmente fuori dal Piano, che necessitano appunto di un nuovo finanziamento. Al momento prevale l’idea di destinare le risorse attinte dal Pnc ai Piani urbani integrati (Pui).

L’intervento dell’Europa ha ripristinato 900 milioni dei 2,5 miliardi che l’esecutivo aveva proposto di cancellare dal Pnrr: utilizzando le risorse Pnc a disposizione, quindi 1,6 miliardi, il salvataggio degli investimenti per le periferie si completerebbe.

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Ma per i Comuni si tratterebbe comunque di un risarcimento parziale perché le risorse sottratte ammontano in tutto a 10 miliardi: oltre ai 900 milioni in meno per i Pui, infatti, è stato decurtato anche il finanziamento per i progetti di rigenerazione urbana (da 3,3 a 1,3 miliardi).

E non si sono salvati i 6 miliardi per le piccole opere. Risorse, quest’ultime, che figuravano nel bilancio dello Stato prima del Pnrr, a finanziare progetti già esistenti, e poi sostituite con quelle del Piano.

I Comuni ne chiedono il ripristino, ma caricare nuovi oneri sul bilancio significa appesantire il debito, già sotto stress per gli impegni del nuovo Patto di stabilità. I sindaci però fanno già fatica: i lavori rendicontati ad agosto, denunciano, non sono stati ancora pagati. E l’anticipo di liquidità promesso dal governo, pari al 30% del costo dell’opera, non si è concretizzato. Fronti aperti, salvataggi precari.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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