Premierato, norma anti ribaltone rafforzata e criticità con il Quirinale. Ecco come cambia la riforma di Meloni

Pubblicità
Pubblicità

È stata raggiunta l’intesa nella maggioranza sulla “madre di tutte le riforme” quella che introdurrebbe l’elezione diretta del presidente del Consiglio, il cosiddetto premierato. Ancora più poteri al premier eletto, ma con molte incognite. E, inoltre, si rafforza la norma anti ribaltone. Da Tokyo Giorgia Meloni è riuscita a vincere le ultime resistenze nella sua coalizione, soprattutto della Lega, e a ottenere una serie di emendamenti che rendono la riforma più vicina ai desiderata della premier.

Gli emendamenti presentati dal governo intervengono in particolare sull’articolo 4 del ddl Casellati, modificando la cosiddetta norma sul secondo premier, o “anti ribaltone”. Vediamo come.

Premier sfiduciato o dimissioni volontarie

Sul punto cruciale del “secondo premier”, che può subentrare se quello eletto viene sfiduciato, la norma lascia spazio a diverse interpretazioni. I nuovi emendamenti stabiliscono che se il premier eletto “cade” dopo una mozione di sfiducia “motivata”, allora si va automaticamente alle urne, e non è prevista alcuna interlocuzione con il Quirinale.

In caso di crisi “extraparlamentare”, non legata dunque a un voto in Aula, invece, il premier eletto può dare le “dimissioni volontarie” e chiedere al capo dello Stato di sciogliere le Camere entro sette giorni. Il presidente della Repubblica, dopo consultazioni, può decidere di ridare l’incarico o allo stesso premier dimissionario o a un altro esponente della maggioranza, appunto il cosiddetto “secondo premier”. Questo può avvenire una sola volta durante la stessa legislatura.

Ma gli emendamenti presentati non prendono in considerazione il caso più frequente: quello in cui il governo pone la questione di fiducia in Parlamento su un singolo provvedimento e non la ottiene. In questo caso, le dimissioni del premier nelle mani del capo dello Stato sono un atto dovuto, come avviene adesso. E, stando al ddl Casellati, il presidente del Consiglio può chiedere lo scioglimento delle Camere solo in caso di dimissioni volontarie. Il presidente della Repubblica potrebbe scegliere di dare di nuovo l’incarico al premier sfiduciato, oppure a un altro membro della maggioranza.

Il rischio di conflitti con il Colle

Così si fa più concreta l’ipotesi di scenari conflittuali con il Quirinale. Dentro la maggioranza è di nuovo il senatore di FdI Marcello Pera a esprimere perplessità: “C’è ancora lavoro da fare – ha detto – Un governo che sia stato battuto sulla fiducia su un provvedimento non è in dimissioni volontarie, ma obbligatorie, e perciò, secondo l’ultimo testo noto, non potrebbe chiedere lo scioglimento del Parlamento”. Critico anche il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli perché quella raggiunta “è una soluzione che incide non poco sui poteri del presidente della Repubblica e in fondo anche del Parlamento”, perché “mi pare che la chiave della vita del Parlamento sia così nelle mani del presidente del Consiglio” e “non si può dire che non si toccano i poteri del presidente della Repubblica, perché sostanzialmente è tenuto a eseguire quello che il presidente del Consiglio detta”.

Casellati: “Sui poteri del premier potremmo cambiare”

La maggioranza potrebbe cambiare ancora la norma sul premierato, rispetto agli emendamenti del governo presentati ieri, per quanto riguarda i poteri del premier in caso di sfiducia, che per alcuni giuristi potrebbero essere oggetto di diverse interpretazioni. Lo ha detto la ministra per le riforme, Maria Elisabetta Casellati, sottolineando che “nulla è immodificabile”.

Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, in aula ha dichiarato che “se ci saranno necessità di avere tempo per valutare ulteriori eventuali emendamenti ne prenderemo atto e ci prenderemo tutto il tempo necessario”.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *