Putin inflessibile in tv: “Denazificazione e neutralità: la pace in Ucraina solo quando avremo raggiunto i nostri obiettivi”

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Alla domanda che, secondo i sondaggi, premeva alla maggioranza dei russi, Vladimir Putin risponde quasi subito. “La pace ci sarà quando avremo raggiunto i nostri obiettivi. Non sono cambiati: denazificazione, smilitarizzazione e status neutrale dell’Ucraina”. Nessun compromesso. Nessuna concessione. “Se gli ucraini non vogliono raggiungere un accordo, beh, allora saremo costretti a prendere altre misure, comprese quelle militari”, ribadisce. “O raggiungiamo un accordo o risolviamo la questione con la forza”.

Avendo eluso i suoi doveri nel 2022, il presidente russo tiene la tradizionale conferenza stampa di fine anno insieme alla “linea diretta” con i cittadini. Un appuntamento eccezionalmente doppio, battezzato “Itogi goda”, “Risultati dell’anno”, che segna l’inizio ufficioso della sua campagna per le presidenziali del 17 marzo. In quattro ore e quattro minuti, il presidente russo risponde a più di ottanta domande di pubblico e giornalisti accuratamente selezionate – stando al portavoce Dmitrij Peskov – tra oltre 2,8 milioni. Ma sono l’offensiva in Ucraina e le sue ripercussioni a farla da padrone nel botta e risposta ospitato nel complesso moscovita di Gostiny Dvor, vicino alla Piazza Rossa.

Stando a indiscrezioni, gli strateghi del Cremlino avrebbero voluto tenere “l’operazione militare speciale” fuori dal dibattito elettorale per promuovere un messaggio di stabilità e normalità. Avevano pianificato che Putin annunciasse la sua ricandidatura proprio durante la maratona televisiva o all’inaugurazione della mostra-evento “Rossija”. Ma il leader del Cremlino ha voluto sparigliare le carte. Venerdì scorso ha confermato che correrà a margine della cerimonia di conferimento delle onorificenze militari in risposta alla domanda di un veterano, padre di un caduto nel Donbass. E ieri ha messo l’Ucraina e le sue ripercussioni al centro del confronto con stampa e popolazione. Un elefante nella stanza troppo grande per essere ignorato.

Nelle prime due ore a intervenire in videocollegamento sono soltanto militari in trincea con distintivi con il volto di Putin in bella vista e l’eco degli spari in sottofondo, giornalisti o cittadini dei territori ucraini annessi. Le “cosiddette nuove regioni”, le chiama Putin. E quando un dottore di Melitopol si lamenta della carenza di personale medico “come in tutta la Russia”, il presidente russo lo sottolinea: “Sa che cos’è stato bello? La sua percezione. Come parte della Russia”. Stando a Putin, anche la città portuale ucraina di Odessa è russa e fu erroneamente ceduta da Vladimir Lenin. Il messaggio è chiaro: Mosca non restituirà né la penisola di Crimea incorporata nel 2014, né le quattro regioni unilateralmente annesse un anno fa.

Perché dovrebbe? Stando a lui, “praticamente lungo tutta la linea di contatto, le nostre forze armate stanno migliorando la loro posizione”. Ostenta sicurezza. “Il nemico ha lanciato una grande controffensiva, ma non ha ottenuto nulla da nessuna parte”. Anche quando ammette una testa di ponte ucraina sulla sponda orientale del fiume Dnipro, sostiene che Kiev sta sacrificando uomini per presentare un successo ai sponsor occidentali ed “elemosinare” ulteriori aiuti. “Credo che sia stupido e irresponsabile da parte della leadership politica del Paese, ma sono affari loro”. Il sostegno occidentale a Kiev, aggiunge, sta scemando, anche se non si fa illusioni che verrà a mancare. Ribadisce che è stato proprio “il desiderio sfrenato di strisciare verso i nostri confini, portando l’Ucraina nella Nato” ad avere “portato a questa tragedia”.

Putin esclude una nuova mobilitazione militare rivelando per la prima volta che sono 617mila i soldati russi, di cui 244mila mobilitati, a combattere in Ucraina e sostenendo che ogni giorno si arruolano “1.500 uomini decisi a difendere con le armi la patria”. Traccia differenze tra la sua offensiva in Ucraina e l’operazione israeliana a Gaza: “Lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite ha definito la Striscia di Gaza il più grande cimitero di bambini del mondo”. La priorità, lo dice in apertura, è “il rafforzamento della sovranità”.

Anche l’economia, insiste, ha retto all’urto delle sanzioni e dovrebbe crescere del 3,5% quest’anno. Certo, i problemi ci sono. Non li nasconde. Disquisisce con pensionati e impiegati di inflazione al 7,5-8%, aumento dei prezzi delle uova (che lui si scopre ama “strapazzate” e un tempo ne mangiava “fino a 10 al mattino”), mancanza di autoricambi, falle nell’aviazione. Lo “zar buono” rimpalla le colpe ai “cattivi boiardi” del governo, ma rassicura: “Ne parlerò con chi di dovere. Ce ne occuperemo. Risolveremo”. Alcuni problemi vengono risolti quasi seduta stante, come un nuovo palazzetto dello sport per i bambini della Crimea.

Gli sms che compaiono sui maxischermi sono ancora più polemici: “Quando la realtà russa non sarà diversa da quella televisiva”. Oppure: “Non deve ricandidarsi. Lasci spazio ai giovani”. Piccole falle nella censura o una scelta accurata per fingere spontaneità e libertà. Come quando Peskov dà la parola alla corrispondente del New York Times, uno dei pochissimi media “ostili” invitati, che chiede dei due detenuti statunitensi Evan Gershkovich e Paul Whelan. Per il loro rilascio serve “un accordo con gli Usa che sia reciprocamente accettabile”, risponde Putin che tossisce e schiarisce spesso la voce dando la colpa all’aria condizionata.

Un’eccezione nell’inevitabile adulazione da parte dei giornalisti russi, come quella del corrispondente di Lugansk che afferma di non avere domande perché nella sua regione non c’è “nulla di cui lamentarsi” o del giovane reporter dell’Estremo Oriente russo che, rallegrandosi per la ricandidatura di Putin, dice candidamente: “Noi tutti sosteniamo la tua decisione, perché per quanto posso ricordare, sei sempre stato al potere”.

Non mancano le sorprese. Putin si ritrova a tu per tu con se stesso, o perlomeno con il suo doppio virtuale creato da uno studente di San Pietroburgo con la tecnologia deep-fake, che gli chiede se sia vero che abbia numerosi cloni. “Ho deciso che solo una persona dovrebbe assomigliarmi e usare la mia voce, e cioè io stesso. A proposito, questo è il mio primo sosia”.

E al solito abbondano le confessioni personali. Come supera lo stress? “Con il senso del dovere”. Gioca a scacchi? “È sempre necessario perfezionarsi”. Chi sognava di diventare da piccolo? “Prima un pilota, poi un agente segreto. Ce l’ho fatta”. Che cosa sta leggendo? «Rileggerò il Codice penale visto che qualcuno pensa che certe punizioni siano troppo severe. Sul comodino ho un libro di Lermontov”.

Poche le sortite nella politica estera: l’impossibilità di ripristinare normali rapporti con Europa e Usa, rapporti con la Cina “mai stati a un livello ottimale come adesso”, il “ruolo di primo piano” del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel conflitto in Medio Oriente, lo slovacco Robert Fico e l’ungherese Viktor Orban che a suo dire “non sono politici filo-russi, sono filo-nazionali, proteggono i loro interessi”.

Ancora meno sono i commenti sul dibattito politico interno. Soltanto una domanda sul disegno di legge che propone di vietare l’aborto nelle cliniche private, con Putin che da un lato si dice contrario ai divieti (“Bisogna stare attenti. Ricordo il bando dell’alcol”), dall’altro sostiene che il più grande regalo da chiedere a Papà Gelo sono “i figli e i figli dei nostri figli”.

Ma è l’ultima domanda a ricomporre le fila del lungo botta e risposta. Che cosa direbbe al Vladimir Putin del 2000? Che consiglio darebbe? Da cosa lo metterebbe in guardia? Si pente di qualcosa? Il presidente risponde con la citazione di uno slogan comunista: “Direi: siete sulla strada giusta, compagni”. Poi conclude: “Mi metterei in guardia dall’ingenuità e dall’eccessiva creduloneria verso i nostri cosiddetti partner. Per quanto riguarda i consigli, bisogna credere nel grande popolo russo. Questa fede è la chiave del successo nella rinascita, affermazione e sviluppo della Russia”.

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