Putin sulla piazza Rossa, folla per celebrare la quinta rielezione e l’unità con regioni ucraine. Ma molti vanno via prima che parli

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MOSCA – La consacrazione dello Zar avviene in Piazza Rossa. In un concerto per i dieci anni dell’annessione russa della penisola ucraina di Crimea. L’anniversario non è un mero pretesto per celebrare la rielezione di Vladimir Putin con l’87,28% dei voti dopo le presidenziali incontrastate che si sono svolte da venerdì a domenica. È un programma.

L’annessione della Crimea non è stata che il primo atto del conflitto tra Russia e Ucraina. E festeggiarla all’indomani del plebiscito che ha riconfermato Putin per un quinto mandato indica la strada che il presidente rieletto intende seguire nei suoi prossimi sei anni al Cremlino.

Putin lo mette subito in chiaro quando, oramai a tarda sera, sale sul palco tra le urla “Rossija! Rossija”. Promette che la Russia andrà “avanti, insieme, mano nella mano” non solo con la Crimea e Sebastopoli, ma anche con le altre quattro regioni ucraine annesse due anni fa, che lui chiama “Novorossija”. “Il ritorno in patria – dice – si è rivelato più difficile, più tragico, ma ci siamo riusciti ed è un grande evento nella storia del nostro Stato”. Segno che nessun compromesso con Kiev è possibile.

I tre sfidanti sconfitti sul palco

Sul palco non è solo. Sale accompagnato dai tre sfidanti fantoccio, a cui alle urne non sono rimaste che percentuali tra il 4% e il 3% di voti. Dopo essere stati ricevuti al Cremlino attorno al tavolone bianco dal leader con cui non c’è mai stata una vera gara, prendono la parola ad uno ad uno. Prima il comunista Nikolaj Kharitonov che ricorda come Putin si sia speso perché la popolazione della Crimea “tornasse a casa”. Poi il nazionalista Leonid Slutskij, a capo del Partito Liberaldemocratico, Ldpr. E infine il novizio Vladislav Davankov, deputato di Novye Ljudi, Gente Nuova. Cantano insieme a Putin l’inno russo. Una prova di unità.

Ma la gente è andata via prima che Putin parlasse

“La reintegrazione della Crimea è stata importante perché è parte della Russia. Come lo è stata quella dei nuovi territori. Ho tanti parenti lì e vogliono tutti parlare russo e stare con la Russia. Come dice il protagonista del film “Fratello 2” quando il tuo Paese è assediato, devi sostenerlo”, dice il 52enne Sergej Bondir, nato a Donetsk, che però lascia il concerto con la moglie prima che Putin parli.

In via Nikolskaja, dove ci sono i varchi con metaldetector, oltre i quali si passa soltanto con biglietto, il flusso di gente che va via sin dalle prime battute del concerto è costante. La scusa che danno tutti è la stessa: “Abbiamo preso troppo freddo”.

Le minacce a studenti e dipendenti pubblici

Sono tutti studenti universitari o dipendenti di aziende municipali che sono stati portati in piazza Rossa sin dal primo pomeriggio e hanno atteso per ore con temperature sotto lo zero prima che il concerto iniziasse.

Da giorni, su diversi canali Telegram, giravano gli screenshot degli sms minatori inviati a professori e datori di lavoro perché portassero al concerto decine di studenti e dipendenti. La 45enne Svetlana, originaria del Donbass, ma trasferitasi a Mosca già dieci anni fa, dice ad esempio di far parte di “una comitiva organizzata da un’azienda nel settore terziario della città di Mosca”. Non è la sola.

“La Russia deve tornare ai confini del 1945”

Non ha resistito fino alla fine neppure lo studente di Medicina 18enne Fjodor, avvolto nel tricolore russo, benché si vanti di aver portato qui una “comitiva di più di 100 persone”. Parla del concerto come di una gita. Non ha nulla da dire sulle presidenziali, né sull’annessione se non che “Putin è il migliore”. Una studentessa che preferisce restare anonima ammette candidamente di essere venuta soltanto per il concerto. Ma non aspetta Putin: “C’è troppa gente e troppo freddo”. Un gruppo di Dogoprudny, il municipio a Nord di Mosca dov’è consigliere il candidato pacifista escluso Boris Nadezhdin, dopo aver girato in tondo attorno alla Piazza Rossa, seguendo le indicazioni dei minacciosi agenti anti-sommossa Omon, rinuncia al concerto a un passo dalla meta. Il biglietto per il concerto è valso almeno una gita nella capitale. Il ventenne Andrej, invece, è arrivato fin qui da Ekaterinburg, il capoluogo sugli Urali. Lui sì che è d’accordo con quel che ha detto Putin. Anzi, va persino oltre: “La nostra patria – dice – deve tornare ai confini del 1945 quando si estendeva da Brest (in Bielorussia, ndr) a Vladivostok”.

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