Rafah, le immagini satellitari del sovraffollamento nella Striscia di Gaza

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L’invasione israeliana nella Striscia di Gaza ha spinto quasi tutta la popolazione a schiacciarsi a Rafah, a ridosso del confine egiziano, e le immagini satellitari mostrano con chiarezza la storia di questo esodo veloce. La città si riempie di tende e teli di plastica, gli spazi vuoti diventano affollati e la periferia si allarga dove è possibile – che in questo caso è in direzione della spiaggia.

È una strategia deliberata da parte di Israele, in modo da svuotare dei suoi abitanti il resto dell’enclave palestinese e avere un teatro di operazioni sgombro o quasi. I due milioni e oltre di palestinesi di Gaza si sono in effetti spostati a Sud quasi tutti nel giro di settanta giorni a partire dal 7 ottobre. Almeno trecentomila civili sono rimasti nel settore Nord, ma il numero di persone a Rafah è salito da duecentocinquantamila (secondo il censimento del 2022) a un milione e mezzo (è un dato fornito dalle Nazioni Unite). Israele ha ottenuto questo trasferimento di massa con le indicazioni che ha dato ai palestinesi di Gaza – i volantini che piovono dal cielo – ma soprattutto con raid aerei di una brutalità senza precedenti, che hanno spinto la maggioranza a cercare scampo verso sud.

Se consideriamo la grandezza della città, vuol dire che si è trasformata in un’area molto affollata: più di ventiduemila persone per chilometro quadrato. In Italia la densità è 196 per chilometro quadrato ed è comunque uno degli Stati più densi dell’Unione europea, tanto per fare un confronto. In breve: non abbiamo idea di cosa vuol dire vivere in così tanti dentro uno spazio così angusto.

La Rafah di adesso non è la città più densamente popolata del pianeta, perché nel Sud Est asiatico ci sono posti ancora più affollati, ma è comunque nella parte alta della classifica. Ma tutte le altre città non sono in guerra e le differenze disperanti con gli slum asiatici sono molte e ovvie. Rafah non era pronta a ricevere all’improvviso così tanti sfollati, che oggi sopravvivono in tendopoli, sparsi nelle strade oppure in dieci per stanza – quelli più fortunati. La città è assediata: da un alto ci sono le truppe e i carri armati israeliani, che controllano Khan Yunis e si preparano a scendere, dall’altra c’è il confine con l’Egitto e dietro quello altri carri armati, questa volta egiziani perché il governo del Cairo teme molto che i palestinesi in preda al panico tentino in massa di sfondare le barriere. La vita in queste condizioni è già molto complicata, ma i camion che entrano a Gaza con beni di prima necessità adesso sono molti meno di quelli che servirebbero: da cinquecento sono scesi a duecento al giorno e in certi giorni sono pure meno. E questo vuol dire che Rafah oggi è una città che patisce la fame e la mancanza di acqua potabile. Più i giorni passano e più la situazione peggiora.

Quello che succederebbe in caso di attacco di terra si è visto nella notte tra domenica 11 e lunedì 12 febbraio, quando le forze speciali israeliane sono andate a liberare due ostaggi rapiti da Hamas in un appartamento al margine nord di Rafah e gli aerei hanno eseguito bombardamenti di copertura, come diversivo. I morti sono stati almeno settantatrè e si trattava di raid aerei per coprire una singola operazione. Possiamo considerarla un’anticipazione. Se i soldati avanzassero per molti giorni il numero diventerebbe molto più alto. Per questo motivo molti governi, inclusi quelli di Stati Uniti, Egitto, Cina, Arabia Saudita e altri, stanno chiedendo a Israele di non cominciare un’operazione militare se prima non avrà concesso alla popolazione civile di evacuare. Ma i palestinesi di Rafah rispondono: non abbiamo la minima idea di dove potremmo cercare rifugio oggi, questa città era la nostra ultima opzione.

Foto satellitari © Planet Labs PBC’- 25 ottobre 2023 – 19 gennaio 2024

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