Salvatore Parolisi fuori dal carcere in permesso premio: “Sarà dura con il mio nome”. Il fratello di Melania Rea: “Tanta rabbia”

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“Sarà dura, perché col mio nome è così, poi c’è chi ha pregiudizi, chi no…”. Torna a parlare Salvatore Parolisi, fuori dal carcere in permesso premio. A Bollate, in provincia di Milano, l’ex militare sta scontando la condanna a 20 anni per l’omicidio della moglie, Melania Rea, uccisa nel 2011. Le telecamere di Chi lo ha visto lo hanno raggiunto mentre era libero e stasera, mercoledì 5 luglio, andrà in onda l’intervista esclusiva su Rai3 all’ex militare. Nell’anteprima c’è solo un piccolo assaggio delle sue parole. Quanto basta a scatenare la rabbia del fratello di Melania, Michele Rea: “In tv lui ripeterà che è innocente, ma nulla potrà cancellare quello che ha fatto. Pensare che lo dirà ancora una volta ci addolora e ci fa tanta rabbia”, si legge su Il Centro che riporta le sue dichiarazioni.

Permesso premio a Parolisi, uccise la moglie Melania

Parolisi, che ha trascorso 12 anni in carcere, è considerato un “detenuto modello” e può ora usufruire di permessi giornalieri per lasciare la struttura in cui è recluso.

Melania Rea venne trovata morta, all’età di 28 anni, il 20 aprile del 2011, nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo. Era sparita due giorni prima dopo essere uscita di casa a Folignano (Ascoli Piceno) diretta verso Colle San Marco con il marito Salvatore e la figlia che oggi ha 13 anni, vive a Somma Vesuviana con i nonni e lo zio e non porta più il cognome del padre.

Il cadavere venne individuato dopo una telefonata anonima partita da una cabina nel centro di Teramo. Dalle indagini emerse che la donna venne aggredita alle spalle e colpita a morte con 35 coltellate.

La sentenza Parolisi e le donne “inadatte”

Il 19 luglio venne arrestato il marito, Salvatore Parolisi. Che si è sempre dichiarato innocente. Nel 2012 inizia il processo con il rito abbreviato. La pena, a 30 anni, viene ridotta poi a 20 e confermata in Cassazione.  I giudici non riconoscono l’aggravante della crudeltà, nonostante le coltellate che hanno sfigurato Rea. Nelle motivazioni si dice che il delitto scaturì “dopo un impeto d’ira, nato da un litigio tra i due coniugi e dovuto alla conclamata infedeltà coniugale dell’uomo”, legato sentimentalmente a una soldatessa, un rapporto divenuto centrale anche nelle indagini sull’omicidio.

Caso Parolisi, Cassazione: “Melania uccisa in un impeto d’ira”

“Può dire quello che vuole – attacca ora Michele Rea a Il Centro – ma ci sono tre sentenze che stabiliscono che lui ha ucciso mia sorella colpendola mentre la figlioletta era in macchina. Noi abbiamo fondato un’associazione contro la violenza sulle donne ma è lo Stato che deve fare di più. Alle vittime chi ci pensa?”

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