Stoccate e ripicche agitano la destra. I vertici di FdI: “La Lega ci ha frenati”

Pubblicità
Pubblicità

ROMA — Davanti al portone di via della Scrofa, Arianna Meloni ieri spiegava la sconfitta sarda così: «Siamo arrivati tardi col candidato». Certo un modo per minimizzare la portata del capitombolo, «hanno vinto di 3 mila voti, dai su…». Ma il ritardo, è il sottotesto, sarebbe colpa dell’impuntatura del Carroccio sul governatore uscente Christian Solinas: Matteo Salvini ha passato tutto gennaio a fare resistenza. E a cannoneggiare sul sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, già impopolare di suo, imposto da Meloni. «Un mese di liti sui giornali certo non ha aiutato…», rincara la dose Francesco Lollobrigida, all’uscita di Montecitorio. Ancora Arianna: «Hanno perso tutti, non solo Giorgia».

Centristi, il tallone d’Achille della Meloni

Dentro FdI masticano amaro. E se di primo acchito la responsabilità della sconfitta era finita, almeno pubblicamente, tutta sul groppone di Truzzu, col passare delle ore il cerchio magico della premier sta spostando il mirino su Salvini. All’ora di cena in tv Giorgia Meloni riconosce quasi di sfuggita che «qualcosa si è sbagliato», ma il cambio di linea, di mattina, arriva dalla sorella Arianna e dal marito, il ministro dell’Agricoltura, Lollobrigida. Mezze frasi, niente frontali. Ma è difficile immaginare che il duo non rappresenti in toto il pensiero della capa.

Tra leghisti e meloniani ormai è zuffa continua. Mentre Salvini si accapiglia col ministro della Difesa, Guido Crosetto, per la sanzione al generale Vannacci, i colonnelli di FdI spulciano il dossier dell’Istituto Cattaneo sul voto disgiunto sull’isola. Analisi che confermerebbe il sospetto originario: sarebbero stati i leghisti a silurare Truzzu. Al netto delle recriminazioni, Meloni vuole evitare altri flop. E altri «ritardi». Per questo ieri notte è arrivato l’accordo con Lega e FI sulle prossime Regionali: tutti i governatori uscenti saranno ricandidati. Dagli azzurri Vito Bardi in Basilicata e Alberto Cirio in Piemonte, alla salviniana Donatella Tesei in Umbria, anche se su questo FdI ha provato a resistere fino all’ultimo. La Lega ha brigato per inserire nel pacchetto anche il Veneto, rivendicandolo a prescindere dalle sorti di Luca Zaia. Ma Giovanni Donzelli ha fatto muro: «Se ne parla dopo le Europee». Anche l’emendamento leghista alla Camera sul terzo mandato è slittato al 19 marzo, dopo il voto in Abruzzo.

Il Veneto leghista dà lo sfratto a Salvini: “O va via con le buone o lo cacciamo noi”

L’accelerazione delle Regionali serve a Meloni anche a questo: a mandare all’esterno un segnale di compattezza della coalizione. La grande paura della premier è che l’onda sarda arrivi fino a L’Aquila e a Pescara, dove fra dieci giorni si gioca la riconferma uno dei “ragazzi di Colle Oppio”, il presidente abruzzese uscente, Marco Marsilio. E guardando più in là, al quadro generale, a via della Scrofa cominciano a preoccuparsi per una saldatura strutturale tra Pd e 5 Stelle, soprattutto se si aggregasse davvero Carlo Calenda: «Probabilmente se si fossero uniti, alle Politiche del 2022, non avremmo vinto…», ammette il titolare dell’Agricoltura.

Anche Forza Italia dà le sue pene a FdI: ieri Maurizio Gasparri ha sbattuto la porta davanti al presidente del Senato, Ignazio La Russa, per non avere ottenuto la chiusura dell’Aula il 6 e 7 marzo, in concomitanza col summit del Ppe a Budapest. Sosta concessa invece a Montecitorio. Ma mentre queste tensioni vengono derubricate a incidenti di percorso, «normale dialettica», è il filo con Salvini a essersi ormai spezzato. Chissà quanto saranno motivati (e presenti) i “Fratelli” il prossimo 25 marzo, quando alla Camera si discute la mozione di sfiducia presentata dall’opposizione contro il vicepremier.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *