Strage di Cutro, l’audio che potrebbe scagionare uno dei presunti scafisti: “Papà sto arrivando, puoi pagare la seconda rata del viaggio”

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“Mio fratello, un collaboratore degli scafisti? Ma siete impazziti?”. Antisham ha lo sguardo stravolto sulla faccia stanca quando l’avvocato Salvatore Perri gli comunica le accuse che vengono mosse al fratello Arslan. Per i magistrati, è uno dei mozzi che ha aiutato gli scafisti. “Ma lui ha pagato, io ho le ricevute, il messaggio audio che ha mandato a mio padre perché versasse la seconda rata, tutto”, dice. 

È arrivato dopo un viaggio folle da Schio, dove vive e lavora, dividendosi fra un ristorante dove è impiegato come lavapiatti e qualche turno da rider. Richiedente asilo, da anni in Italia, sapeva che il fratello era su quella barca, lo aspettava. In Turchia, spiega, la vita per gli stranieri è diventata impossibile, nonostante abbiano un lavoro regolare, il regime di Erdogan – spiega – ha avviato una vera e propria campagna di repressione. E anche Arslan, che lì lavorava da sette anni, è stato costretto a partire. “Ma lui ha pagato”, dice. E mostra la ricevuta del versamento della prima tranche. Sulla rotta jonica funziona così.  

Una prima quota viene pagata prima della partenza, poi il saldo si fa all’arrivo in Italia. È una sorta di assicurazione. Nel caso in cui il barcone venga intercettato e respinto, viene garantito un secondo viaggio. “E lui ha pagato quattromilacinquecento dollari”, insiste Antisham. Quando già si vedeva la costa, al padre ha poi inviato un audio perché versasse la seconda tranche. “Papà sto arrivando, puoi versare il resto dei soldi, è tutto a posto”, si sente nell’audio che Repubblica ha potuto ascoltare.

Antisham era al lavoro quando ha saputo del naufragio. Appena ha finito il turno, si è precipitato in stazione, un collage di treni lo ha portato a Crotone. Lì ha scoperto che il fratello era sopravvissuto allo schianto del barcone sulla secca, ma che poco dopo era stato arrestato. 

I sopravvissuti lo hanno indicato come uno dei mozzi che trasmetteva ordini e indicazioni per conto dei quattro skipper, tre turchi e un siriano, che gestivano quella traversata. Solo uno di loro è stato individuato e fermato, gli altri tre – hanno riferito i sopravvissuti – sarebbero riusciti a scappare su un gommone calato in acqua poco prima che il vecchio caicco si spezzasse. “Mio fratello parla un po’ di turco, probabilmente è per questo che parlava per conto degli skipper”, spiega Antisham. “Ma lui no, non è un trafficante. Nessun mercante di uomini rischia la sua vita su una barca, stanno a godersi la vita e a dare ordini dalle loro belle ville a Istambul” 

In manette come mozzo è finito anche un ragazzino di diciassette anni. E anche lui, dice da quando è stato interrogato la prima volta, giura di essere innocente. Nel suo telefono, che ha tenuto stretto anche quando il barcone è naufragato, c’è l’audio che ha mandato al padre perché pagasse la seconda tranche.  

Oggi a Catania l’Interpol inizierà gli accertamenti su quel telefono. Utili a recuperare quell’audio, certo. Ma anche dati sulla rete che in Turchia gestisce le partenze. Nelle testimonianze di chi è sopravvissuto, l’ombra di un’organizzazione si intravede. Perché ci sono compound e safehouse dove chi deve salpare attende il momento della partenza, numeri e persone diverse da contattare per trovare un posto a bordo, una rete in grado di assicurare persino un’imbarcazione sostitutiva quando il primo barcone viene bloccato da un’avaria.  

“Non ho niente a che fare con tutto questo”, ha spiegato il ragazzino sotto interrogatorio. Ma il giudice non gli ha creduto, per lui ha convalidato il fermo e confermato il carcere. Gli assistenti sociali e gli psicologi che lo hanno visitato però hanno scritto una relazione preoccupata. Il ragazzo è solo, disperato, al momento pare non ci sia nessun parente in Italia che gli possa prestare assistenza. Prigioniero di una storia più grande di lui, senza nessuno con cui poter comunicare nella propria lingua, si sente quasi soffocare. “Rischio di atti autolesivi”, c’è scritto sulla relazione che ha preceduto il suo ingresso al minorile di Catanzaro. Dove continua a ripetere in uno zoppicante inglese: “Sono innocente”.

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