Stromboli, la scuola sotto al vulcano: esplosioni e terremoti, i vetri tremano e le porte si muovono da sole. “Ma non abbiamo paura”

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Ci sono giorni in cui “Iddu” fa tremare la scuola per ore. I vetri vibrano, le porte si muovono. Ma i bambini e gli insegnanti non si spaventano. Perché sanno che è solo il respiro del Gigante. Siamo a Stromboli. E “lddu”, il vulcano, è vivo più che mai.
La paura arriva quando c’è troppo silenzio. Quando le microscosse si interrompono improvvisamente. Allora significa che qualcosa non va. E che potrebbe arrivare un’esplosione. Quando succede, il bidello suona la campanella tre volte, alunni e maestre si infilano sotto i banchi, per qualche minuto.

E quando sul cratere si forma la nube di cenere, si corre a chiudere le finestre. In quei casi è vietato uscire in cortile, la polvere e le piccole pietre che cadono dal cielo sono bollenti. Ma se invece c’è una scossa di terremoto più forte, allora ci si mette in fila e si va fuori, fino al punto di raccolta in giardino. E succede diverse volte all’anno. La mattina capita di trovare i muretti davanti alla scuola ricoperti di polvere nera e materiale lavico: bisogna pulire. Danno tutti una mano: bidello, alunni, docenti. Ogni giorno, poi, i bambini raccolgono la cenere, la mettono in barattoli trasparenti e scrivono la data sull’etichetta: poi li consegnano agli esperti dell’Ingv per aiutarli nel loro lavoro di ricerca.   

La scuola è un edificio basso, di un solo piano. Una scatola bianca, con le librerie colorate e le piastrelle sul pavimento, dove l’odore di zolfo si mescola al profumo del mare. Ci sono in tutto 50 alunni, tra materna, elementare e medie, che lavorano insieme in varie pluriclassi. “E’ una struttura antisismica – precisa la preside, Mirella Fanti – da qui vediamo la bocca del vulcano che sbuffa. Alcuni dei nostri bambini durante i mesi invernali frequentano nella sede di Milazzo, perché la famiglia si sposta sulla terraferma. Ma abbiamo la Lim, il laboratorio di informatica, facciamo videocollegamenti settimanali per restare in contatto. Molto prima del Covid e della dad”. 

I bambini vivono in simbiosi con la loro isola. Qualcuno ha gli occhi neri e profondi come il mare di notte. Da marzo in poi, al primo raggio di sole, si tolgono le scarpe e corrono scalzi. “In classe le tengono solo perché abbiamo imposto delle regole – racconta Giovanna Pintabona, docente della media – Quando arriva un nuovo insegnante all’inizio sono chiusi, diffidenti. Ma quando si aprono diventano molto affettuosi. È come se fossero tutti miei figli”. “Con questi ragazzi non si possono fare 5 ore di lezione classica, seduti – spiega la dirigente – quindi spesso storia e geografia si fanno all’aperto, con l’azzurro sullo sfondo e ‘Iddu’ alle spalle. Il vulcano per loro è un amico sempre presente, non lo percepiscono come una minaccia e lo disegnano sempre con un cuore rosso al centro”.  

A far paura non è il vulcano – dicono le insegnanti in coro – ma l’uomo. A maggio l’incendio provocato da una troupe che girava una fiction ha terrorizzato i bambini, che sono stati portati fino alla spiaggia perché le aule si erano riempite di fumo. Poi l’alluvione, a luglio. L’istituto in questi giorni ospita ancora gli alpini che hanno lavorato durante l’emergenza.  

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Appena arrivati le maestre sono spaventate. “Una volta comunicai a una docente che era stata assegnata a Stromboli – ricorda la preside – Ed ebbe un malore. Ma poi si fermò sei anni. Le Eolie ti rapiscono il cuore e l’anima”. Nina Gerbino insegna alla materna, ormai da 14 anni. Ha 28 bambini da seguire, insieme a un’altra collega. “Ormai non riesco più ad andare via – racconta – Sto bene qui con il mio vulcano, con la mia solitudine. Anche se l’inverno resta aperto solo un negozio di alimentari e un tabaccaio. E anche se tra affitto e spese varie se ne va tutto lo stipendio. So di vivere su un cratere. Forse sono una incosciente. Ma è una sfida, qui ci dobbiamo inventare qualcosa ogni giorno e tenere la scuola aperta anche se, magari, a causa di una tempesta, gli altri insegnanti non sono riusciti ad arrivare con l’aliscafo”.    

“Viviamo in una dimensione paradisiaca – aggiunge la prof Pintabona – la spiaggia, il vulcano, i pescatori che vivono a piedi scalzi. Il tempo si rallenta, si dilata all’infinito. D’estate vediamo i turisti come da dietro un vetro, come uno spettacolo che finirà presto”. Anche la maestra delle elementari, Angela Sidoti, è arrivata qui per caso e ha deciso di rimanere: “Ero qui solo per una supplenza. Era il 2004. Non me ne sono più andata. L’isola è così: si piange quando si arriva e quando devi ripartire. E io non voglio più ripartire. Questa è la mia famiglia”. Anche quando Iddu si sveglia, anche quando fa paura.  

 

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