Tropea e Pizzo, una coppia di perle sul Tirreno calabrese

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Una coppia di perle sul mare. Brillano e si guardano da lontano Tropea e Pizzo, e rappresentano una il completamento dell’altra: se la prima è un dedalo di viuzze e scorci, della seconda ci si innamora soprattutto per la sua piazza, e per quello che vi si può gustare seduti ad ammirare il Tirreno. Non solo: se a Tropea – capitale incontrastata del turismo calabrese – l’affacciata è ancora più mozzafiato, a Pizzo – il più classico borgo dei pescatori – il mare è una presenza più discreta ma altrettanto rispettata, anzi venerata. Infine la cucina: se la prima ha forse il record calabrese di ristoranti per metro quadrato, la seconda ha un’offerta meno spinta sulla quantità di insegne a favore della qualità. 

Nell’antro di Nonna Rosa. Lungo l’antica strada che le collega si possono fare gli incontri più inattesi. Prendete Giovanni Sabato: studia all’Unical, sta per laurearsi in economia e non rinuncia ad aiutare il padre Vittorio in negozio. Accoglie con un sorriso i clienti dell’antica bottega di famiglia sulla Vibo-Pizzo: una foto ingiallita ritrae nonna Rosa intenta a lavorare dietro a un pentolone, sul muro anche una scena di pesca di qualche decennio prima. La famiglia Sabato produce bottarga da oltre 50 anni, ma negli scaffali di questo vero e proprio tempio laico dedicato alle divinità del mare troverete alici e tonno ma anche peperoncino, olive, peperoni e ogni tipo di conserve. Sull’altro lato della strada, a una decina di metri, ecco Me Restaurant: Giuseppe Romano è campano e con la moglie Eleonora ha trovato qui, in un antico casale in pietra ristrutturato, il posto in cui fare esplodere nel piatto i colori della migliore Calabria che negli anni ha imparato a conoscere: provare gli spaghetti con ragù di cernia e tartufo del Pollino per credere. Benvenuti nella Calabria bifronte dove sperimentazione e tradizione, insegne arcaiche e interior design, segnalazioni sulle guide e classico passaparola convivono.

Bottega di Nonna Rosa, Giovanni Sabato

Bottega di Nonna Rosa, Giovanni Sabato 
Dallo svincolo autostradale di Pizzo si arriva a Tropea dopo una trentina di chilometri: consigliamo la strada più lunga, la vecchia provinciale dove potrete incrociare sul lato collina i tanti venditori di cipolla con i loro lucenti mazzi rossoverdi appena raccolti nei campi retrostanti e sul lato mare una fila di resort da 3 a 5 stelle – spingetevi però ancora più a sud, fino a Ricadi, per una tappa alla Spa con talassoterapia Capovaticano. Dopo qualche curva nella macchia mediterranea dove spuntano non pochi palmizi, finalmente l’arrivo a Tropea. Il borgo dei borghi premiato nel 2021, in questo 2022 ha scommesso sulla rinascita post-pandemia già sperimentata la scorsa estate: tra cantieri pubblici su slarghi e piazzette anche minuscole e cantieri privati in dirittura d’arrivo (tanti palazzi nobiliari sette-ottocenteschi si stanno trasformando in residenze turistiche per tutte le tasche), questi vicoli sono tornati ad attirare folle eterogenee come nei decenni passati. 

A fine maggio c’è già pieno di turisti da tutta Europa e dagli Stati Uniti: più di un ristorante opta per il turno unico senza soluzione di continuità. L’impressione è che l’offerta turistica stia lentamente migliorando, e la risposta sembra esserci, dopo anni di appiattimento fatto di negozi fotocopia di artigianato, abbigliamento, gioielli e souvenir. Anche il rebranding di insegne storiche è un segno di rinnovamento non solo estetico per questo polo turistico il cui porto (600 posti barca) è in grado di ospitare yacht fino a 55 metri: negli anni si sta affermando sempre più anche come location per sport acquatici.

Pimm's 

Pimm’s  

Il borgo dei cinquanta ristoranti. Per mangiare bene basta fare un giro di perlustrazione sul centralissimo corso Vittorio Emanuele oppure girare l’angolo e allontanarsi qualche metro: l’artista olandese Escher, di passaggio di qui negli anni Trenta, definì il corso «una lama che taglia tutto il centro e va a morire in una vertiginosa balconata sospesa sulle onde». È la terrazza presidiata da una istituzione della ristorazione locale: Pimm’s, a strapiombo sulla rupe, dove Francesco Seva – tra un gamberone blu e la sua celebrata crudité – non disdegna anche qualche piatto di carne. Vi sembrerà di mangiare sulla prua di una nave. La vista sul mare turchese e la chiesa di Santa Maria dell’Isola faranno il resto. Ristoranti come Da Cecé e Carpe Diem, Le tre fontane o La pentola d’oro sono altre insegne della tradizione, anch’esse in centro come la pizzeria Da Titino (dal 1975) oppure il Vecchio Forno, a gestione familiare da oltre sessant’anni. 

Decine di ristoranti espongono i loro menu con primi di pesce da 14/15 €. In generale i primi non di mare si aggirano sui 10/12 mentre gli antipasti calabresi (affettati, formaggi e sott’olio) si attestano sugli 8/10, la carta dei vini ha ricarichi onesti e anche i posti “per turisti” assicurano un rapporto qualità/prezzo che non a caso stupisce al momento del conto. Altro giro. Al Vecchio granaio, ristorante e pizzeria con forno a legna, si possono gustare gli “Spaghetti ammuicata” con alici fresche del Tirreno, mollica di pane raffermo, pomodorini freschi, capperi e olive verdi: rivisitazione di un piatto della tradizione povera premiato di recente nel contest della “Tropea Experience”, il festival della cipolla rossa che si tiene in primavera inoltrata (quest’anno riconoscimento pari merito anche ai primi de Il Convivio e Fame da lupi). 

Scorcio di Tropea 

Scorcio di Tropea
  
La zona degli aperitivi e dello street food è piazza Vittorio Veneto: paninoteche (Tomate) o degusterie (Made in Sud) ai affiancano a pizzerie come Annaré, bistrot e ristorante anche senza glutine, alla Premiata forneria, pizzeria napoletana, o alla trattoria calzoneria Litte Italy. Per la sosta-spritz basta scegliere tra uno dei bar con dehor mentre per un panino al volo c’è il chioschetto Piccola fame, poco lontano. Di mattina non può mancare un tartufo al Cafè 54 (la cifra riporta all’anno della fondazione) e per lo spuntino c’è, proprio lì accanto, la pizzeria rosticceria Napoli per un arancino alla ‘nduja o alla cipolla. Da Tonino, poco più giù con la vista mare che si avvicina, cipolla e ‘nduja sono due gusti di gelato, ma troverete anche zucca, nero di seppia, olive e tonno.  Spostandosi nel dedalo di viuzze tra il corso centrale e la cattedrale, Marasusa è invece tra i locali concepiti per una clientela più giovane, come BoCa 19 Bottega calabra e – sempre nella zona Duomo presidiata dallo storico Normanno – la Munizione per gli amanti del sushi. Da queste parti sarete anche catturati dal profumo delle brioche che arriva da La bottega del gelato. Artigianale come quello di Donna Rosa mentre da Mimmo troverete anche delle ottime granite.

Fileja alla ‘Nduja: tutto il gusto del piccante

Per bere tropeano. All’Albin’s – dopo un primo di fileja alla ‘nduja e stracciatella e un medaglione di maiale nero della Sila su salsa di cipolla e pecorino del Monte Poro – potrete provare il Tropea gin, una delle dimostrazioni che il lavoro di posizionamento del brand Tropea sta cercando di andare al di là della rossa Igp: e dunque ecco la “Trupiana” Calabria craft beer, artigianale non filtrata ispirata a un vecchio taccuino che «custodiva la ricetta di un’antica e pregiata bevanda al gusto di cipolla, un tempo prodotta tra Tropea e Capo Vaticano», racconta Antonio Lorenzo che con il padre Giovanni e il birraio cosentino Eraldo Corti (‘A Magara) qualche anno fa ha lanciato la sfida in un mercato brassicolo calabrese sempre più vitale. Scena nella quale non si può non inserire la Cunegonda di Pasquale Barritta da Spilinga, capitale della ‘nduja. Ma siamo pur sempre nell’enclave dell’Amaro del Capo, dunque l’azienda limbadese Caffo non può mancare neanche nel boccale: in più di un locale tropeano troverete la Mountlion, sia rossa doppio malto che bionda (più rara la Black, stout alla liquirizia). 

Albin's

Albin’s 
Tra le botteghe del gusto, una meta quasi obbligatoria per i turisti è Livasi, salumificio di Spilinga che proprio all’ingresso del borgo si presenta nella sua bottega-bottiglieria tra conserve e prodotti tipici: la vetrina ad angolo con vasetti di ‘nduja esposti a mo’ di opera d’arte è uno dei luoghi deputati per i selfie, precedendo di qualche decina di metri lo scatto immancabile dalla balconata. L’Enoteca tropeano è altrettanto imprescindibile per chi cerca non solo il top dei vini locali ma anche conserve e prodotti tipici del territorio. Facciamo provviste e torniamo a Pizzo.   Pizzo, Tartufo di Ercole 

 Pizzo, Tartufo di Ercole  

Pizzo: Pizze, tartufi e cucina gourmet. Nella città del tartufo (nel senso di gelato) c’è solo da scegliere dove mangiare prima di arrivare al dolce: partiamo dal San Domenico dove Bruno Tassone, classe 1989, tiene alta la tradizione della cucina di mamma Maria Rosa Giurlanda mentre il fratello Cristian, sommelier, vi coccolerà in sala dandovi più di una dritta, soprattutto sugli Champagne. Nel piatto troverete ricette calibratissime con materia prima eccelsa: dopo una tradizionale stroncatura con bottarga di tonno, olio al cedro e mandorle tostate, potrete decidere tra gamberi rossi (marinati al bergamotto con stracciatella di bufala e basilico fritto) e zuppe ma anche baccalà, presente peraltro fra i primi nella farcia dei “bottoni” freschi. La Locanda Toscano, a pochi metri dal castello Murat e dalla installazione di Edoardo Tresoldi (“Il collezionista di venti”), gode di un invidiabile affaccio sul Tirreno: nei locali da poco rinnovati in un elegante stile marinaro la Caterina Malerba e il marito Tonino Toscano, sommelier, propongono una cucina di pesce senza fronzoli (consigliamo anche qui le paste fresche ripiene) e una cantina focalizzata sulla nouvelle vague calabrese oltre che su etichette internazionali, per finire con uno dei dolci che rinnovano una lunga tradizione di famiglia: Toscano era infatti sinonimo di pasticceria siciliana e fino a pochi anni fa il piccolo punto vendita che dà sulla terrazza, oggi inglobato nel ristorante, era la meta prediletta degli amanti del cannolo alla ricotta e canditi.  
Meno impegnativo ma altrettanto meritevole Hale Bopp: una sosta sulla veranda con vista mare dove potrete gustare tra le altre cose la “fileja alla pizzitana” (pasta tipica condita con cipolla, ventresca di tonno e bottarga) vi lascerà un ricordo ben più duraturo della scia che richiama la stella cometa dell’insegna. Da provare anche le pizze al pesce. 

Locanda Toscano, Pizzo Calabro

Locanda Toscano, Pizzo Calabro 
Nella centralissima piazza della Repubblica si può optare per un locale ancora più informale ma altrettanto apprezzato come il Cappero Rosso, pizzeria ristorante con una buona proposta di pesce fresco e prezzi più abbordabili. Ma a Pizzo tiene banco la disfida del tartufo: Ercole (come l’eroe figlio di Zeus che su questi lidi sarebbe approdato dopo aver superato le dodici fatiche: di qui il nome Costa degli Dei) è presente dal 1965, anch’egli nella piazza centrale; è un’istituzione ma altre insegne sono ugualmente tradizionali oltre che a gestione familiare. È il caso di Enrico, fresco di 40 anni di attività, il cui laboratorio è però fuori dal borgo, e di Penna, sempre in centro e molto interessante anche come cocktail bar. Buon ultimo si è aggiunto da qualche anno il tartufo Callipo, re indiscusso del tonno insieme con Sardanelli – anche in questo caso una sana diatriba divide calabresi e turisti in una specie di Beatles vs. Rolling Stones in salsa culinaria.   Pizzo, Tartufo di Ercole 

 Pizzo, Tartufo di Ercole  

Nei paraggi. Se si passa da Pizzo non si può non visitare la chiesa di Piedigrotta, scavata nel tufo, e magari pranzare in una delle antiche e davvero economiche trattorie di mare lì da sempre, sulla strada. Ma l’intero comprensorio Pizzo-Tropea, quello forse più ad alta vocazione turistica della regione, comprende altre località da visitare: Briatico, Capo Vaticano, Parghelia, Ricadi, Zambrone. Un itinerario dalla A alla zeta sulla Costa degli Dei non può che concludersi a Zungri, la sorprendente città di pietra posta nell’entroterra a 550 metri di altitudine: l’insediamento rupestre degli Sbariati, sito databile all’VIII secolo dopo Cristo, merita davvero una piccola digressione. Ideale anche per digerire, immersi nella natura.

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