Tunisia, migranti intercettati in mare dalla guardia costiera e consegnati ai trafficanti libici. E Malta dà alla nave di una milizia le coordinate dei barconi

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Gli ultimi tre mesi del 2023 hanno fatto tornare il sorriso sul volto di Matteo Piantedosi: il trend degli sbarchi si è decisamente invertito, 20.000 migranti arrivati da ottobre ad oggi contro i 34.000 dell’anno scorso. Il patto con il presidente tunisino Saied funziona, è l’analisi del ministro dell’Interno che non perde occasione per ricordare: «La Tunisia ha fermato 64.000 persone quest’anno, senza di loro ne sarebbero arrivati molto di più».

E che fine hanno fatto questi 64.000 riportati indietro dalla guardia costiera tunisina? Meglio non chiederselo, meglio far finta di non vedere quello che da mesi raccontano diverse Ong e osservatori internazionali che hanno raccolto testimonianze, foto e video. E cioè che il patto stretto dall’Italia con il presidente tunisino nasconde gravi violazioni dei diritti umani perché migliaia di migranti fermati in mare alla partenza dai guardiacoste tunisini vengono non solo deportati ai confini verso il deserto ma adesso anche consegnati direttamente ai trafficanti libici. Dunque intercettati in mare sulle coste tunisine e spediti nei lager libici.

La misteriosa nave delle milizie

Esattamente come accade con altre migliaia di persone che, già arrivate in acque maltesi, si ritrovano improvvisamente di fronte una misteriosa nave blu con sulla fiancata il nome Tareq Bin Zeyad con a bordo misteriosi uomini armati, che farebbero capo a Saddam Haftar, figlio del generale Khlaifa Haftar. Li abbordano, li prelevano di forza e li riportano in Libia dopo aver ricevuto indicazioni sulle loro coordinate in mare dalle autorità maltesi e da Frontex.

Insomma, la strategia della difesa dei confini d’Europa attuata anche attraverso accordi con Libia e Tunisia nasconderebbe gravissime violazioni dei diritti umani. Così raccontano le prove offerte da due lavori di inchiesta, il rapporto dell’Organizzazione mondiale contro la tortura e quello dei giornalisti di Lighthouse secondo i quali «Frontex e il governo maltese condividono sistematicamente le coordinate delle barche piene di migranti in fuga dalla Libia con una nave su cui opera una milizia legata ai russi, ai trafficanti di essere umani e crimini di guerra».

Ma se per i migranti che scappano dalla Libia la possibilità del ritorno nei lager è messa in conto, cosa ben diversa è per chi da un Paese che l’Europa definisce sicuro come la Tunisia si imbarca verso l’Italia e poi finisce per ritrovarsi consegnato ai trafficanti libici.

Dalla Tunisia ai lager libici

È la teoria dei vasi comunicanti. I migranti che non arrivano più in Italia direttamente dalla Tunisia, ricompaiono nei centri di raccolta (veri e propri lager) in Libia, destinati poi anche da lì a prendere il mare per Lampedusa (con molti più rischi). Oppure si materializzano al confine tra Tunisia e Algeria, in pericolose zone desertiche, sballottati tra i due paesi e, anche in questo caso, destinati comunque più tardi a prendere il mare dalla Tunisia o dalla Libia. È il segreto di Pulcinella che gira da tempo a Tunisi: il calo delle partenze delle ultime settimane nasconde un meccanismo di deportazione ormai strutturato verso i confini desertici dei due stati vicini, rendendo ancora più disumano il destino dei migranti e non risolvendo alla base il problema migratorio. La realtà del fenomeno è scritta nero su bianco in un rapporto appena pubblicato dall’Omct realizzato sulla base delle testimonianze di una trentina di Ong attive in Tunisia, di una ventina di deportati e di missioni sul posto, alle frontiere). Da giugno almeno 5500 migranti, secondo il rapporto Omct, sono stati deportati al confine con la Libia e almeno 3mila a quello con l’Algeria.

L’Ong sottolinea come da settembre l’operazione sia diventata (fino a oggi) «molto più strutturata»: «Le deportazioni e le espulsioni verso l’Algeria e la Libia sono realizzate in maniera regolare, in un clima di diniego dell’accesso alla giustizia e di non rispetto delle garanzie procedurali». Sono i pullman della Guardia nazionale ma anche dei trasporti pubblici di Sfax, che sono requisiti addirittura con i loro autisti, a essere utilizzati per trasportare subsahariani, costretti a salire a bordo e poi scaricati alle frontiere.

Deportati anche i richiedenti asilo

Si tratta anche di richiedenti asilo, già registrati dagli uffici dell’Unhcr in Tunisia. E si tratta pure dei migranti appena intercettati in mare dalla Guardia nazionale, mentre cercavano di raggiungere Lampedusa (quasi 65.000 dall’inizio dell’anno, più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso): la loro deportazione, una volta riportati a riva, è «quasi sistematica». I migranti trasferiti al confine con la Libia sono consegnati al Security support apparatus (Ssa), finanziato dal governo di Tripoli, che li distribuisce poi in centri di raccolta in Libia, dove vengono torturati e minacciati, perché chiedano soldi alle loro famiglie, necessari per essere liberati. La fonte di una Ong internazionale presente in Tunisia racconta che «la Guardia nazionale si farebbe pagare per questi migranti, che per i libici sono all’origine di guadagni». Ma già sul territorio tunisino l’Omct documenta violenze subite dai subsahariani da parte delle forze dell’ordine, giungendo alla conclusione che «la Tunisia non è un paese sicuro per questi migranti». Vista, però, la situazione così difficile per loro in Libia (e anche in Algeria) rispetto alla Tunisia, continuano a entrare in quest’ultimo paese dagli altri due fra i 300 e i 400 al giorno, in un assurdo balletto di deportazioni in un senso e di nuovi arrivi nell’altro.

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