Tutti uniti in difesa di Rashford: “Non mi scuso per quello che sono”

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LONDRA “Non so come ho fatto a sbagliare quel rigore. Segno sempre, anche nei sogni. Ma in me sentivo qualcosa che non andava prima di calciare. Mi scuso con tutto il Paese. Ma non mi scuserò mai per quello che sono”. Come si fa a non voler bene a Marcus Rashford? Come si fa a oltraggiare questo ragazzo, d’oro come l’attuale generazione di giovani fenomeni inglesi? Come si fa a odiarlo e ricoprirlo di insulti razzisti dopo la beneficenza degli ultimi anni? Come si fa a sfregiare il murale per lui nella sua Manchester, dopo un rigore sbagliato nella finale che pur avrebbe riscattato 55 anni di agonia calcistica inglese?

(reuters)

A soli 23 anni, oltre alla classe in campo, Rashford ha già ottenuto successi straordinari con le sue campagne online: ha costretto Boris Johnson a dare più pasti gratis ai bambini poveri per cui ha raccolto 25 milioni di euro, ha fatto il volontario nelle banche del cibo, lotta contro il razzismo, ha scritto “You’re a Champion”, un libro bestseller motivazionale per bambini perché “la lettura mi ha salvato la vita”. Rashford non ha dimenticato quando mamma Melania, di origine caraibica, ha cresciuto lui e altri tre figli da sola alla periferia di Manchester: “Poteva comprarci solo uno yogurt a testa, altre volte il cibo a tavola non c’era. Ha lavorato tantissimo per non farci mancare niente e farmi entrare nell’accademia United a 11 anni”.

Inghilterra, dopo gli insulti razzisti ai giocatori neri il difensore Mings attacca il governo: “Avete aizzato gli animi”

E allora, cosa volete ancora da questo ragazzo? Ieri pomeriggio, al suo murale deturpato a Manchester, arriva Alex, un ragazzino in sedia a rotelle. Lascia anche lui un messaggio: “Marcus, sei un vero campione”. È una interminabile processione di amore e rispetto, così lontana dagli stereotipi superficiali sugli inglesi “antipatici” o “violenti”, e che esprime la vera anima di questo Paese: una marea di cuori, bandiere e lettere travolge il murale. “Eroe”, “Leggenda”, “Idolo”. Rashford quasi scoppia a piangere, poi twitta le lettere ricevute da altri bambini: “Mi chiamo Dexter, ho 9 anni. Marcus, non preoccuparti per il rigore. Sei sempre il nostro mito”. Perché questa è e sarà una nazionale straordinaria, di giovani, campioni e attivisti. Jordan Henderson del Liverpool ha fatto campagna contro omofobia e transfobia. Il capitano Harry Kane ha indossato la fascia da capitano arcobaleno. L’altra stella Raheem Sterling, uno cui hanno ucciso il padre a due anni in Giamaica, è in prima linea contro il razzismo. Il pilota sette volte campione del Mondo, Lewis Hamilton posta una foto: “Orgoglioso di voi”.

Questo attivismo al governo Johnson non piace. Quando, dopo Black Lives Matter, Rashford e compagni hanno iniziato a inginocchiarsi contro il razzismo, la ministra dell’Interno Priti Patel l’ha definita con sprezzo una “politica gestuale”. Johnson non ha mai condannato i fischi di quei tifosi inglesi contro i giocatori in ginocchio. E così l’altro ieri il difensore Mings ha sbottato e accusato il governo di ipocrisia: “Adesso fate finta di essere disgustati, quando avete aizzato tutto quello che abbiamo combattuto sinora”.Come si fa a non amare questi “Tre Leoni” di classe, ideali e principi, in un calcio dove i club spesso silenziano i propri giocatori? Per qualcuno questa nazionale è la vera opposizione politica a Johnson. Ma loro, Rashford e compagni, pensano molto più in grande: “Vogliamo rendere il mondo migliore”, ci disse qualche settimana fa Marcus, “e così anche noi ci sentiamo migliori”. Corri, ragazzo. Corri.

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