Barbara Chichiarelli: “Io, l’amante del Duce spero di far riflettere sui nuovi fascismi”

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Per chi la ferma per strada, soprattutto a Roma, è ancora la sorella dell’Aureliano di Suburra. Nel frattempo Barbara Chichiarelli, 38 anni, ha investito la popolarità in progetti d’autore e d’impegno: Favolacce dei D’Innocenzo, La dea fortuna di Özpetek, la serie The good mothers, sulle donne ribelli di ’ndrangheta, premiata alla Berlinale e ora in corsa ai Critics’ Choice Award. A teatro ha appena portato un monologo, Cattiva sensibilità, e ha girato la serie M. Il figlio del secolo di Joe Wright, dal romanzo di Antonio Scurati.

“Cattiva sensibilità”, ispirato a Jane Eyre, ripartirà nel 2024.

«Sì, siamo una compagnia di donne, lavoriamo sui romanzi delle sorelle Brontë. Lo spettacolo racconta la scuola: il titolo si riferisce alla sensibilità perché parliamo degli insegnanti che vivono, abitano e nutrono la scuola, di come queste figure possano aiutare i ragazzi».

Si parla di insegnare l’affettività a scuola.

«C’è un momento del testo in cui raccontiamo le tracce dell’esame di maturità del 2023, che parlano da sole: citazioni di Giuseppe Mazzini, di Oriana Fallaci, scelte politicamente schierate. E del fatto che il ministero ha cambiato dominio, da “Università e ricerca” a “Istruzione e merito”, ma la scuola fondata sul merito viene trasformata in un’azienda, si mettono i ragazzi in competizione tra loro, non c’è il tempo per coltivare i talenti, parlare di sessualità e sentimenti. La scuola deve affiancare la famiglia nella crescita e formazione intellettuale dei ragazzi».

“M. Il figlio del secolo” è una serie molto attesa.

«Sono contenta perché ho iniziato l’anno — per me parte a settembre come a scuola — con uno spettacolo politico sulla scuola e nello stesso solco di muove M, che è un progetto politico perché affronta un periodo molto delicato della nostra storia, che ha generato i fascismi nel mondo. Sarà una serie interessante non solo per gli italiani, tanto più che è diretta da un regista inglese, Joe Wright, che ha quella giusta distanza che per noi è impossibile avere. I miei nonni e bisnonni hanno vissuto quel periodo storico che è stato tenuto vivo dal racconto orale. Questa serie spero ci porti a riflettere, tanto più che abbiamo al governo Giorgia Meloni e ci sono continui rigurgiti di fascismo e la percezione è che vengano legittimati. Mentre noi giravamo, quest’inverno, Luca Marinelli è andato in visita a Predappio e non c’era assolutamente nessuno a fermare il corteo celebrativo. Ed era un corteo abbastanza numeroso di persone che facevano una cosa anticostituzionale: si tratta di apologia del fascismo. Spero che la serie sia un contributo e uno spunto di riflessione».

Joe Wright, un regista da Oscar per la serie Sky su Mussolini

Con Marinelli siete amici da anni.

«Dai tempi del liceo (Mamiani ndr). Doveva farmi da spalla al provino per l’Accademia Silvio D’Amico, ci siamo ritrovati a lavorare insieme dopo quasi vent’anni».

Lei interpreta Margherita Sarfatti, amante e mentore di Mussolini.

«Lei è il pigmalione di Mussolini. La vita è bizzarra perché mesi prima, quando non immaginavo di interpretarla, sono andata a una mostra-retrospettiva di tutte le sue opere. È stata una delle prime critiche d’arte in Europa. Una figura affascinante che ho approfondito, studiando biografie e carteggi. Viene raccontata come l’amante di Mussolini, ma è stata molto di più. Lo ha ispirato non solo nelle scelte politiche, ma anche rispetto all’immaginario che ha creato il fascismo: il ritorno al neoclassicismo, alla romanità, ai fasti di un impero padrone del mondo… penso al fascio e ad altre simbologie che lei ha veicolato e catalizzato. Il primo libro si ferma al delitto Matteotti, ma negli altri due si racconta l’evoluzione del rapporto. Lei si allontana quando Mussolini prende una deriva che non condivide, si allonta già prima delle leggi razziali, per divergenze politiche».

Quando ha deciso che voleva fare l’attrice?

«Ho iniziato a parlare presto. A due anni le maestre mi fecero fare uno spettacolo di poesie, c’è un video in cui mi portano via a forza perché continuavo a declamare. È una cosa che c’è sempre stata. Mi viene in mente Il codice dell’anima di James Hillman. Ma non pensavo che potesse essere un lavoro, sono andata avanti con l’università e nel mentre portavo avanti altri lavori. Durante un spettacolo ho pensato: ora provo a farlo da professionista».

Lei non viene da una famiglia d’arte. Suo nonno rinunciò a far l’attore allo scoppio della guerra. È stata dura la gavetta?

«È stato difficile, subito dopo l’Accademia. Gli ex allievi parlavano di agenzie e provini, io non sapevo come funzionasse, non conoscevo nessuno. Alla fine ho trovato la mia strada. Questo lavoro mi dà gioia e mi nutre ma l’obiettivo è felice. Questo mestiere mi ha aiutato a trovare me stessa».

Cosa significa per lei “Suburra”?

«Una grande possibilità, un banco di prova. Non conoscevo bene le inquadrature, così mi impegnavo al massimo anche nei controcampi. Venivo dagli spettacoli teatrali con Antonio Latella, una maratona di 22 ore in scena, ero pronta a tutto. Mi ha dato una marcia in più».

Ha lasciato andare Livia Adami, il personaggio della serie?

«È stato un personaggio icastico, mi hanno fermato e parlato di lei anche 5 minuti fa. Mi è capitato di tutto: persone che mi fermavano pensando che fossi davvero una fuorilegge, ragazzini che mi chiedevano lavoro nella criminalità. Le sarò sempre grata di avermi fatto conoscere al grande pubblico».

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