Alabama, la telefonata del condannato a morire con l’azoto: “Non sono pronto, sogno che mi vengono a prendere. Dov’è la pietà?”

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NEW YORK – “Non sono pronto, fratello”. Kenneth Smith, 58 anni, nelle prossime ore verrà trasferito nel “braccio della morte” del carcere di Holman, Alabama. Giovedì verrà giustiziato con un sistema mai sperimentato prima: gli verrà messo al volto una maschera che gli farà respirare azoto, elemento naturale presente nell’aria ma che allo stato puro porta a una totale saturazione dell’ossigeno. La perdita di coscienza può arrivare dopo molti minuti e dopo atroci sofferenze. È ritenuta così crudele che persino i veterinari si sono opposti al suo utilizzo per l’eutanasia degli animali.

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A meno di uno stop dei giudici davanti all’ennesima richiesta in extremis presentata dai legali, per Smith il destino appare scritto: morirà soffrendo. In Alabama già la certezza dell’epilogo genera sollievo: perché Smith doveva essere morto da un pezzo, dal 17 novembre 2022 quando il giorno dell’esecuzione per iniezione letale i suoi boia non erano riusciti a trovargli la vena giusta. Lo avevano bucato lungo tutto il corpo, e lui continuava a urlare di dolore. Una delle guardie, in preda a una crisi di nervi, aveva finito per affondargli una siringa gigante sul collo nel tentativo di mettere fine alla pratica entro il limite di tempo fissato per legge. Smith era sopravvissuto. Tutta la procedura era durata quattro ore. Adesso è arrivato il secondo atto finale.

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“Non ci voglio pensare – confessa in una telefonata di un quarto d’ora con un giornalista del Guardian – cerco di non leggere troppo a riguardo”. “Vomiterò nella maschera – aggiunge – tanto so che nessuno mi aiuterà, finirò per soffocare nel mio stesso vomito, e mia moglie starà seduta lì a guardare”. Il rischio è che la maschera possa non essere sigillata perfettamente al volto. Uno spiraglio potrebbe far entrare ossigeno e prolungare morte e sofferenza.

Smith è in carcere da quando a poco più di vent’anni aveva partecipato a un omicidio su commissione, ordinato da un predicatore della Chiesa di Cristo, che voleva sbarazzarsi della moglie. Lui e un altro ragazzo si introdussero nella casa di Elizabeth Sennett, 45 anni, nella contea di Colbert, Alabama, e la uccisero a coltellate. Il pastore, una settimana dopo, si tolse la vita. Smith aveva ricevuto in cambio mille dollari. Alla polizia confessò tutto e indicò il mandante. Nel 1988 i giurati, a larga maggioranza, 11 a 1, lo condannarono all’ergastolo, ma il giudice aveva trasformato la sentenza in pena di morte. Il complice è stato giustiziato nel 2010.

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“Sono in carcere da trentacinque anni – chiede Smith – non sono stato punito? Trentacinque. È da trentacinque anni che vengo punito. Ho sofferto per ciò che ho fatto, e così la mia famiglia”. “Vorrei aver fatto le cose in modo differente – continua – un secondo, un momento nella vita di un uomo. Quello è stato l’unico episodio. Non ho mai avuto problemi con le guardie, mai uno scontro con i compagni di cella. Non sono un violento”. Ma in Alabama molti sono convinti che meriti di morire. In quel modo? E dopo un’esecuzione andata male? Attivisti dei diritti dei detenuti parlano di crudeltà. Medici e esperti forensi hanno lanciato appelli per fermare tutto.

“La mia paura – spiega Smith – è che questo metodo funzionerà e vi ritroverete presto il sistema all’azoto nel vostro Stato. Questo è ciò che mi preoccupa”. Poche ore e vedrà la cella aprirsi per l’ultima volta. “Non sono pronto – ammette – non sono pronto per niente, non sono pronto, fratello”. Dopo essere sopravvissuto alla prima esecuzione, Smith è un condannato a morte molto provato: gli è stato diagnosticato un disordine da stress post-traumatico. Ogni giorno prende un cocktail di farmaci per sedare le forti emicranie. Soffre di insonnia, ansia e depressione, dice di non riuscire a dormire, di essere preda di incubi. “Sogno che mi vengono a prendere e io sono terrorizzato”. Quel momento sta per ritornare.

Paragona il suo caso a quello di una vittima di abusi che si ritrova portata dal suo violentatore nello stesso posto dove è stata traumatizzata. “Se una persona lo facesse verrebbe considerata un mostro – dice – ma quando è il governo a farlo, sai, diventa qualcos’altro”. Nella stanza dei testimoni, o seguire l’esecuzione, ci sarà la moglie Deeanna.

A Smith verrà concesso di nuovo di salutare per l’ultima volta la madre, Linda, 78 anni, che lui chiama “la mia mammina”, e il nipote di 12 anni, a cui è stato dato il nome Crimson, in onore della squadra di football dell’Università dell’Alabama. “È davvero dura – ammette – far vivere loro tutto questo”. Allo scadere dei quindici minuti, il giornalista del Guardian gli chiede cosa direbbe se potesse rivolgere un messaggio a tutti. “Sai, fratello – risponde – direi ‘lasciate posto alla pietà’. Quella proprio non esiste in Alabama. La pietà davvero non esiste in questo Paese per le situazioni difficili come la mia”.

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