Allegri, la vittoria in coppa Italia una boccata d’ossigeno: ora serve la svolta in campionato per tenersi la Juve fino a giugno

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TORINO – Se la Juventus abbia o no arrestato la sua deriva è presto per saperlo, ma una costante tra i tormenti di prima e il sollievo per il ritorno alla vittoria c’è: l’espressione di Allegri, rimasta uguale, come se il suo umore e il suo stato d’animo fossero condizionati da ben altro che dalla provvisorietà di un risultato. Anche dopo aver battuto la Lazio non ha accennato a sorrisi, s’è tenuto ben alla larga dall’ironia che tanto ama (e che spesso gli è stata rinfacciata come una colpa), ha buttato lì frasi provocatoriamente banali (“Cos’ho detto ai miei nell’intervallo? Di correre verso la porta avversaria”) e col linguaggio del corpo ha tradito l’esistenza di un disagio destinato a resistere. L’unico fugace lampo d’allegria gli è passato negli occhi quando gli è stato chiesto se avesse temuto l’esonero, in caso di sconfitta in Coppa Italia: “Il calcio è fatto di risultati e se non li ottieni finisci sulla graticola, è normale. È il bello e il brutto del nostro lavoro”. Ma la graticola è snervante e sta snervando persino un tipo come lui, che ha spesso saputo essere serafico anche nelle situazioni più tempestose.

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Allegri divide, ma è in linea con gli obiettivi

La tempesta martedì s’è attenuata, ma la situazione difficile resta. Nei suoi confronti il pubblico è diviso, anche se è nello stadio virtuale dei social che il suo indice di gradimento precipita: molto meno allo Stadium in carne e ossa, dove la curva è dichiaratamente dalla sua parte e il resto del pubblico sottopone il giudizio all’andamento della partita. In quanto alla fiducia della società, c’è quella (di facciata?) che Giuntoli gli rinnova a ogni apparizione televisiva, ma anche la sfiducia lievitata in questi due mesi di crisi che hanno angosciato molti, facendo crescere la preoccupazione e temere addirittura il fallimento del traguardo minimo del quarto posto.

La vittoria in Coppa Italia ha fatto da tranquillante: “Abbiamo tutti gli obiettivi aperti”, dice Max, cui la società aveva chiesto il ritorno in Champions e la finale nella coppa nazionale, non certo un’estetica del gioco (la valorizzazione dei giovani sì, difatti la Juve è sesta in serie A per impiego di under 21 e seconda per quello di under 19). Dal suo punto di vista, insomma, ritiene di avere la coscienza a posto. E non ha voluto far notare, pur sperando che si notasse, che il ritorno alla vittoria è avvenuto quando ha potuto disporre della rosa al completo (quasi: mancava soltanto Milik): per uno che, come lui, punta più sui giocatori che sul gioco, è una condizione essenziale.

Allegri: “La finale di Coppa Italia non è ipotecata, senza risultati l’allenatore è sulla graticola”

Giuntoli protegge Allegri

La graticola resta comunque rovente. Allegri ha sottolineato più volte che “la Coppa Italia è un’altra manifestazione”. In campionato la crisi resta infatti aperta e con l’attuale ritmo di crociera i 9 punti che mancano (11 secondo la versione più prudente dell’allenatore) per garantirsi il quarto posto non sarebbero garantiti affatto e che quindi una sconfitta in casa con la Fiorentina rimetterebbe tutto in discussione. Rimetterebbe in discussione Allegri. Chi sta cercando di convincere tutti che in questo momento sia fondamentale rinnovare la fiducia all’allenatore è Giuntoli, non certo un allegriano di ferro (tutt’altro) ma senz’altro un dirigente che sa come funzionano certe cose. La Roma ha potuto licenziare Mourinho perché c’era De Rossi. La Lazio ha accolto le dimissioni di Sarri perché Tudor poteva non essere soltanto un traghettatore. La stessa Juve, in passato, ha cambiato allenatore in corsa (Lippi con Ancelotti, Ranieri con Ferrara) perché al nuovo avrebbe potuto affidare il futuro. A chi lotta per salvarsi è spesso sufficiente “uno che dia la scossa”, e di specialisti in scosse è pieno.

Giuntoli e Allegri

Ma la Juve un De Rossi non ce l’ha. Un Tudor nemmeno. Non esiste nemmeno una “riserva dello stato” cui affidarsi nelle emergenze. Né si può pensare che per giocatori del calibro dei bianconeri tutto di risolva “dando una scossa”. Altri, in società, sono meno riflessivi di Giuntoli (o più anti allegriani), ma è chiaro che tutti sperano che la crisi rientri, in modo da arrivare più o meno serenamente a fine maggio. Quello che accadrà da lì in poi è un’altra storia e di sicuro le probabilità che Allegri resti l’allenatore della Juventus anche l’anno prossimo sono in drastico calo, se non quasi azzerate. La società sta lavorando ai fianchi Thiago Motta, che non ha ancora sciolto le riserve sul futuro. Sarà il primo tormentone del prossimo mercato.

La provocazione di Tudor: “Juve come Real e City”

Se Sarri non si fosse dimesso tre settimane fa, magari la disponibilità sul mercato di Tudor avrebbe suggerito alla Juventus riflessioni diverse. Il croato, d’altronde, alla Continassa è piuttosto apprezzato: fu sul punto di scalzare Pirlo nella primavera del 2021 e Allegri l’estate scorsa. Lui ci ha creduto e, nei colloqui che aveva avuto, aveva evidentemente formulato dei giudizi diversi sulla qualità della rosa bianconera. E martedì sera l’ha sparata grossa: “Quando spinge così, per me la Juve se la gioca con tutte, è del livello di Manchester City e del Real Madrid”. La constatazione è passata abbastanza inosservata, ma il sottinteso che racchiudeva no e ha fatto ronzare molte orecchie: se la Juve la allenassi io, voleva far sapere il croato, giocherebbe meglio e starebbe molto più in alto. Non è un allegriano.

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