“Antivirali, monoclonali e il plasma dei vaccinati”: ecco le novità per curare il Covid

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Sono campioni di anticorpi, e potrebbero donarli a chi si ammala. “I vaccinati, soprattutto se giovani, producono una quantità di anticorpi contro il coronavirus enorme. Il loro plasma potrebbe essere usato come terapia per chi si infetta. L’ipotesi è al vaglio del Centro nazionale sangue e speriamo che si avveri presto”. Fabio Ciceri, ematologo, è direttore della ricerca al San Raffaele di Milano. Con 16 trial complessivi, l’ospedale è stato il primo in Italia per sperimentazioni di farmaci contro il Covid nel 2020, secondo l’ultimo rapporto dell’Aifa, Agenzia italiana del Farmaco. “In un anno di ricerca abbiamo fatto una grande quantità di trial. Rispetto alla prima fase, ora ci affidiamo a terapie che abbiano un’efficacia dimostrata. Fra le opzioni in arrivo, l’uso del plasma iperimmune dei vaccinati è una delle più interessanti”.

Finora usavamo il plasma delle persone guarite.

“Lo usiamo ancora. Il trial in corso in Italia si chiama Tsunami. Ma ci sono delle difficoltà. Non possiamo prelevare il plasma troppo presto, prima che il paziente abbia due tamponi negativi. Ma nemmeno troppo tardi, quando il titolo – cioè la quantità – di anticorpi inizia a scendere. I vaccinati giovani e sani potrebbero essere candidati ideali. In alcuni abbiamo misurato un titolo superiore a 2.500”.

Per il plasma dei guariti si considera un buon donatore chi parte da 160.

“Sì è una quantità davvero alta. E noi con la nostra tecnica non misuriamo sopra ai 2.500: potrebbero essere anche molti di più. Il momento ideale per il prelievo sarebbe venti giorni dopo la seconda dose. Per i vaccinati si tratterebbe di una normale donazione di sangue. Trattandosi di prodotti emoderivati, però, è necessario il parere del Centro nazionale sangue. La valutazione è in corso. Si potrebbe obiettare che l’infezione naturale fa produrre al nostro organismo anticorpi contro tutte le porzioni del coronavirus, mentre il vaccino stimola il sistema immunitario solo contro la proteina spike. Ma gli anticorpi contro la spike sono anche i più efficaci per la neutralizzazione di Sars-Cov2. Credo che sia una strada interessante da esplorare”.

Ci sono altre novità sul fronte dei farmaci?

“Non abbiamo ancora trovato una vera soluzione. Abbiamo sgombrato il tavolo da diverse cure che usavamo all’inizio ma si sono rivelate inefficaci. Ora usiamo terapie per le quali abbiamo evidenze più forti”.

Ad esempio?

“Tutte le persone che vengono ricoverate, che hanno quindi problemi respiratori, ricevono cortisone e anticoagulanti. Questo è lo standard di cura oggi, a cui si aggiunge l’antivirale remdesivir. L’Aifa ha approvato alcuni anticorpi monoclonali. Anche noi ne stiamo sviluppando uno in casa, e in più stiamo testando due prodotti dalla Merck. In un trial li somministriamo ai pazienti in condizioni già serie. In un altro a persone che si sono infettate, non stanno ancora particolarmente male, ma hanno fattori di rischio che fanno prevedere un decorso serio”.

Come li scegliete? La selezione dei pazienti non è sempre stato uno dei punti critici dei monoclonali?

“Con il tempo anche noi in Lombardia abbiamo imparato a dialogare con la medicina del territorio e abbiamo avviato un ambulatorio per i paucisintomatici. Sono soprattutto i medici di famiglia a segnalarci i pazienti candidati alla sperimentazione dei monoclonali. La collaborazione è utile anche per usare gli altri farmaci in modo corretto. Con il cortisone, ad esempio, vedevamo arrivare in ospedale pazienti che ne avevano usato già tanto nella prima fase della malattia, quella in cui sarebbe invece più utile una terapia antivirale”.

Cosa vuol dire, qual è la differenza?

“Nei primi giorni dopo l’infezione, il virus si replica nell’organismo. Qui sono utili gli antivirali come il remdesivir o gli anticorpi monoclonali, per evitare soprattutto i danni nella parte profonda dell’albero respiratorio, quella meno difesa dal nostro sistema immunitario. Nella seconda fase della malattia il problema è invece la reazione eccessiva del sistema immunitario. Qui entrano in gioco gli immunomodulanti, come il cortisone. Ma la terapia con questo farmaco non può essere prolungata troppo. Si rischiano problemi cardiovascolari o la sovrapposizione di altre infezioni, soprattutto fungine”.

Oggi cosa si sta sperimentando da voi?

“I monoclonali appunto. Vari tipi di anticoagulanti, per trovare i migliori fra l’eparina e quelli somministrabili per via orale. Un immunomodulante usato in passato per l’artrite reumatoide, l’anakinra, e un farmaco del tutto nuovo prodotto in Italia da Dompé, che si chiama reparixin”.

Si è parlato, anche su riviste scientifiche, di vitamina D o zinco. C’è qualcosa di solido?

“No, nessuna evidenza scientifica purtroppo”.

Ci sono nuovi antivirali?  

“Un test su un farmaco che era nato per l’Hiv, il favipiravir, e sul beta interferone, sempre da somministrare in fase precoce”.

Ma perché dopo un anno non ci sono farmaci per il Covid?

“I coronavirus sono un bersaglio difficile per gli antivirali. Questi microrganismi sono i responsabili fra l’altro di alcuni raffreddori e in passato non sono certo mancati gli sforzi per mettere a punto un farmaco contro i malanni di stagione. Sempre senza successo”.

Un anno fa parlavamo di missione impossibile anche per i vaccini. Invece sta andando bene.

“La ricerca degli antivirali ha seguito due fasi. Nella prima, all’inizio dell’epidemia, ci si è messi al computer per vedere se fra le molecole già esistenti c’era qualcosa di adatto al coronavirus. Non avevamo modelli animali e non c’era molto altro da fare. Questi modelli sono diventati disponibili in autunno. Ci hanno permesso di iniziare a testare nuovi candidati farmaci, ma il tempo perso si è fatto sentire. La ricerca è ancora indietro, siamo alle fasi uno e due dei test. Il discorso sui monoclonali è diverso. Sono terapie che avevamo già sviluppato per altre malattie e non hanno bisogno di grandi esperimenti sulle cavie”.

Se avessimo investito non solo sui vaccini, ma anche sui farmaci, oggi avremmo delle terapie per il Covid?

“Chi lo sa, è impossibile rispondere”.

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