Bitcoin, la nuova frontiera dei minatori è l’Etiopia. Halving vicino: ecco cosa succede e perché cambia la geografia dei supercomputer

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A Colorado Springs, Stati Uniti, ci sono interi magazzini pieni di computer imballati e ricoperti di cellophane. Non sono lì a prendere polvere, ma solo ad aspettare di partire. Destinazione: principalmente Etiopia, Tanzania, Paraguay e Uruguay. È la seconda vita dei computer utilizzati dai miner di Bitcoin, gli informatici che attraverso la risoluzione di puzzle crittografici immettono sul mercato nuova valuta digitale. L’esodo di hardware avviene a intervalli regolari – dato che le società di mining tendono a ricercare apparecchiature sempre più efficienti, potenti e soprattutto meno energivore –, ma si intensifica in occasione dell’importante aggiornamento quadriennale nella blockchain di Bitcoin.

Il Bitcoin da record fa minare a più non posso: è corsa ai supercomputer. E i consumi d’energia volano

L’halving e gli effetti sulle miniere di Bitcoin

Conosciuto come halving, l’evento è atteso tra la metà e la fine di aprile e rappresenta uno spartiacque importante per i minatori di tutto il mondo, che da un giorno all’altro vedranno il numero di crypto elargite ad ogni blocco ridursi della metà. Non proprio una postilla, il che giustifica la corsa dei giganti “minerari” a stelle e strisce, vedi Marathon Digital Holdings e Riot Platforms, a voler aggiornare il proprio parco macchine. E pure alla svelta, dato che la spesa maggiore per queste società è data dal consumo di energia elettrica e con l’halving alle porte urge fare spazio a computer che consentano di mantenere un margine di profitto. Ma perché buttare tutto nella spazzatura, quando quella stessa attrezzatura potrebbe ancora portare un guadagno?

Direzione Africa e Sud America

L’esodo dei calcolatori statunitensi, raccontato recentemente da Bloomberg, coinvolgerà solo in questi mesi più di 600 mila computer della serie S19, quella attualmente più in voga tra i minatori di Bitcoin. Africa e Sud America sono i due maggiori punti di approdo, perché avendo costi energetici minori possono continuare a sfruttare quell’hardware ricavandone un guadagno. L’Etiopia sta diventando uno degli attori principali nell’ecosistema del mining digitale extra Usa, ha raccontato all’agenzia finanziaria Taras Kulyk, amministratore delegato di SunnySide Digital, società che gestisce un magazzino da oltre 3 mila metri quadrati ricolmo di macchine obsolete ricevute dai clienti miner.

Nella nazione del Corno d’Africa sono sorti data center ricolmi di computer che continuano ad essere sfruttati per coniare nuovi Bitcoin. I minatori di tutto il mondo si recano in questi luoghi, pagando una tariffa di hosting fissa che include costi di elettricità e manodopera.

I tempi per fare lauti profitti con i computer vecchi sono però agli sgoccioli, perché molti acquirenti hanno già iniziato ad aspettare maggio per tornare a spendere, quando arriverà il periodo di “saldi”. Se nel 2022 un modello S19 veniva rivenduto a 7 mila dollari, nel 2023 era passato a 900 dollari e dopo il dimezzamento si stima che passerà a 356.

Che cos’è l’halving?

Come detto, l’evento denominato halving dovrebbe verificarsi a settimane. Ma di cosa si tratta? E quali sono le sue implicazioni? Comincia tutto col concetto di “scarsità”. Quando Satoshi Nakamoto ha creato Bitcoin, ha anche deciso di fissare un limite massimo di unità circolanti pari a 21 milioni, col chiaro obiettivo di evitare la svalutazione dovuta all’emissione arbitraria di nuovi token.

Per mantenere la scarsità, è stato quindi introdotto il dimezzamento periodico della creazione di nuove criptovalute. Quando i minatori validano una transazione, ricevono in premio delle valute digitali ed è questo il modo in cui le nuove monete vengono di fatto “coniate”. A intervalli programmati – precisamente ogni 210 mila blocchi estratti (quattro anni circa) – l’entità della ricompensa viene dimezzata, da cui il termine halving.

Il primo risale al 28 novembre del 2012, con il passaggio da 50 a 25 Bitcoin per ogni nuovo blocco. Il 9 luglio del 2016 le ricompense sono passate a 12,5 monete, il 12 maggio 2020 a 6,25 e questa volta si andrà a 3,125.

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Le conseguenze di tutto questo sono sostanzialmente due e viaggiano in direzioni opposte. Seguendo la più antica delle regole economiche, se l’offerta diminuisce il prezzo, specie in momenti di forte domanda come quello attuale, aumenta. Nei quattro anni successivi al primo halving, Bitcoin registrò un’impennata del 5.500%, al termine del secondo ciclo del 1.250% e a marzo di quest’anno, guarda caso, ha raggiunto il suo massimo storico a 74 mila dollari, polverizzando il precedente record di 68.999 del novembre scorso.

Sui bilanci dei miner l’effetto è invece differente. La diminuzione della remunerazione vuol dire mettere a rischio la marginalità, per questo stanno spendendo cifre esorbitanti per sostituire i vecchi hardware. Si dice che negli ultimi 14 mesi le principali società quotate di mining abbiano ordinato macchine per un controvalore di oltre 1 miliardo di dollari.

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