“Con l’Alzheimer e l’invalidità al 70% non abbiamo diritto a nessun aiuto”

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«Gli hanno chiesto: che cosa fa tutto il giorno? E lui ha risposto ‘sto con mia moglie’, che cos’avrebbe dovuto rispondere, sto a letto? Mio marito è in grado perfettamente di muoversi, la questione è che non è autonomo, ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. Eppure mi hanno negato l’assegno d’invalidità, e quindi non posso chiedere neanche il permesso per il parcheggio, che mi sarebbe di grande aiuto. Lo hanno giudicato invalido al 70%». Mirella Pedini ha 63 anni, ed è in pensione da due. Da quando ha smesso di lavorare ha cominciato a occuparsi a tempo pieno di suo marito, che, pur avendo solo 74 anni, soffre di Alzheimer precoce. «È stato sfortunato, di solito è una diagnosi che arriva dopo, a 80, anche 90 anni», dice Mirella. Un lavoro di cura che si è aggiunto a quello della suocera, di 98 anni: «Non potevo farcela a occuparmi di entrambi, non ho figli, non c’è nessuno che mi aiuti. Ho dovuto metterla in una Rsa».

Anche se «per ora non abbiamo grossi problemi economici», il no all’indennità di accompagnamento potrebbe diventare presto un problema, spiega Mirella: «Non è una malattia dalla quale si guarisce, e nessun malato migliora. Non capisco cosa devo aspettare per il riconoscimento dell’invalidità totale. I medici hanno tentato una cura per rallentare il decorso dell’Alzheimer, il risultato è che me lo sono ritrovato nel pieno di una crisi epilettica, quasi morto, e quindi abbiamo lasciato perdere. Al momento non abbiamo diritto a niente, se non all’esenzione per il pagamento dei farmaci, che non è di grande aiuto: risparmio una ventina di euro per volta. Mi domando cosa sarebbe successo se avessi continuato a lavorare: non avrei avuto diritto neanche ai permessi della legge 104».

Mirella fa quello che può per gestire al meglio la malattia di suo marito: «Cerco di stimolarlo, gli piace la musica, siamo andati a vedere Jesus Christ Superstar, ma è molto faticoso. Se sono costretta a lasciarlo solo, lo ritrovo da tutt’altra parte. Ho collegato il suo cellulare a una app satellitare che mi permette di ritrovarlo. E la psichiatra mi ha detto ‘il bello deve ancora venire’». In mancanza di assistenza pubblica, l’unico sostegno arriva dall’Istituto Golgi Redaelli di Abbiategrasso, la città dove vivono: «Ci mette a disposizione un terapeuta per 40 ore l’anno, e poi ci sono gli incontri della “memoria ritrovata”, una volta al mese, con i familiari e gli amici dei malati, per cercare di risvegliare un po’ la loro memoria. Ma l’assistenza pubblica è un vero disastro».

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