Dimon (Jp Morgan): “La crisi non è ancora passata. E per affrontarla non servono regole più rigide per il sistema bancario”

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Quello che so sui mercati finanziari e l’economia l’ho imparato lavorando per una delle principali Sim di Piazza Affari, le società che comprano e vendono i titoli in Borsa per i grandi investitori. L’ho portato con me quando sono diventato giornalista di Repubblica dove, tra le altre cose, mi sono occupato di inchieste e grandi scandali come quello di Parmalat, contribuendo a smascherare i suoi bilanci falsi. Ogni mercoledì parleremo di società quotate e no, di personaggi, istituzioni, di scandali e inchieste legate a questo mondo. Se volete scrivermi, la mia mail è [email protected]. Buona lettura

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Quest’anno festeggia i 20 anni della fusione che lo ha portato alla guida del principale gruppo bancario al mondo. Perché era il 2004 quando Jamie Dimon univa Bank One di cui era amministratore delegato con Jp Morgan Chase dando vita alla quarta banca al mondo per capitalizzazione e iniziando una cavalcata che ha portato il gruppo ad annettersi prima realtà come Bear Stearns e Washington Mutual e da ultimo First Republic Bank. Una corsa che si è chiusa nel 2023 con 162 miliardi di ricavi generati, utili per 49,6 miliardi di dollari e il primato mondiale per capitalizzazione.

Jp Morgan compra. Durante tutte le crisi, Jp Morgan è sempre passata indenne ed ha sempre avuto un ruolo di consolidante, ovvero del gruppo che ha messo a disposizione la propria solidità per aiutare altri istituti in difficoltà. Lo ha fatto negli anni del fallimento di Lehman con Bear Stearns e WaMu e lo scorso anno con First Republic Bank.

La chiamata delle autorità. Non che abbia agito senza scopo di lucro, ma di certo è stata incoraggiata dai regolatori, come spiega Jamie Dimon nella sua annuale lettera agli investitori. “L’acquisto di First Republic Bank – ha scritto Dimon – non è un’operazione che avremmo fatto solo per noi stessi. Ma le autorità di regolamentazione si sono affidate a noi, ci hanno chiesto di farci avanti, abbiamo lavorato fianco a fianco con la Federal Reserve, la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) e il Tesoro degli Stati Uniti. L’acquisto ha contribuito a stabilizzare e rafforzare il sistema finanziario statunitense in un momento di crisi”.

Jp Morgan compra First Republic: un favore al governo, un regalo a Jamie Dimon

La crisi non è finita. Ora Dimon, dopo aver attraversato trionfalmente tutte le bufere, lancia un allarme: quella crisi, che ha afflitto soprattutto le banche regionali colpite dal rialzo dei tassi della Fed e dal contestuale deprezzamento degli asset in portafoglio, non è ancora passata. “Quando abbiamo acquistato First Republic nel maggio 2023, dopo il fallimento di altre due banche regionali, Silicon Valley Bank (SVB) e Signature Bank, pensavamo che l’attuale crisi bancaria fosse finita”.

I motivi. Ma non è così e il numero uno di Jp Morgan spiega perché. Il problema sono i tassi a lungo termine che, se salgono oltre il 6% e questo aumento è accompagnato da una recessione, ci saranno molte tensioni, non solo nel sistema bancario, ma anche nelle società con molta leva finanziaria, ovvero molto indebitate. “Ricordate che un semplice aumento di 2 punti percentuali dei tassi ha ridotto essenzialmente il valore della maggior parte degli asset finanziari del 20% e alcuni asset immobiliari, in particolare gli immobili ad uso ufficio, potrebbero valere ancora meno a causa degli effetti della recessione e dell’aumento dei posti vacanti”.

La svalutazione degli asset genera perdite di bilancio e di conseguenza la possibile crisi di chi non ha abbastanza capitale per fa fronte a quelle rettifiche. Il problema per Dimon sono dunque i tassi elevati, anche perché dopo aver avuto i Fed Funds a zero per un lungo periodo, nessuno è preparato a uno scenario opposto di costo del denaro elevato per molto tempo.

I pericoli inflazionistici. E che la Fed possa attendere ulteriormente ad allentare i tassi è possibile perché rimangono ancora notevoli rischi inflazionistici. A tenere alta la tensione sui prezzi sono diversi fattori come 1) il continuo aumento della spesa pubblica a sostegno dell’economia, per esempio per finanziare la transizione Green 2) la ristrutturazione delle catene di approvvigionamento 3) l’incremento delle spese militari 4) l’aumento dei costi sanitari.

La stretta monetaria. “Tutto ciò – sostiene Dimon – potrebbe portare a un’inflazione più rigida e a tassi più alti di quanto i mercati si aspettino”. Ma non basta perché anche la stretta quantitativa della Fed sta drenando dal sistema oltre 900 miliardi di dollari di liquidità all’anno e “non abbiamo – dice Dimon – mai sperimentato veramente il pieno effetto di una stretta quantitativa su questa scala”. Inoltre, le guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente continuano ad avere il potenziale per sconvolgere i mercati energetici e alimentari.

Soft o hard landing? Gli operatori di mercato stimano che le possibilità che si assista a un atterraggio morbido (soft landing) dell’economia, ovvero a una crescita modesta accompagnata da un calo dell’inflazione e dei tassi d’interesse, siano tra il 70 e l’80%. Ma secondo Dimon, per tutti i motivi elencati sopra, si tratta di proiezioni troppo ottimistiche. Ci si concentra eccessivamente sui dati mensili e si stimano variazioni modeste di tassi e non si prendono in considerazioni le tendenze macro descritte che potrebbero condizionare l’inflazione e di conseguenza il costo del denaro.

Non servono altre regole per le banche. Serve dunque essere prudenti per affrontare il possibile prolungarsi della crisi, ma non servono certo gli irrigidimenti normativi che vorrebbero imporre alle banche una maggiore capitalizzazione. Nella sua lettera agli investitori Dimon sostiene come dalla firma della legge Dodd-Frank nel 2010, solo negli Stati Uniti siano state aggiunte migliaia di norme e requisiti di rendicontazione redatti da oltre 10 diversi organismi di regolamentazione. Che non sono serviti a nulla.

“Probabilmente – sostiene Dimon – sarebbe un eufemismo dire che alcune sono duplicative, incoerenti, procicliche, contraddittorie, estremamente costose e inutilmente dolorose sia per le banche che per le autorità di regolamentazione”.

Contro Basilea III.Il bersaglio del numero uno di Jp Morgan è Basilea III, l’insieme delle norme che la Banca dei regolamenti internazionali (Bis), una sorta di banca centrale delle banche centrali, ha redatto per evitare che le crisi bancarie possano diventare sistemiche. Tutto nacque negli Anni 70 con il fallimento della banca tedesca Herstatt Bank di Colonia e della Franklin National Bank of New York di Michele Sindona.

Fu allora che il G10 si convinse a creare all’interno della Bis il Comitato di Basilea con il compito di redigere i regolamenti internazionali, che si sono evoluti nel tempo fino alla versione attuale chiamata Basilea III, che oltre ai requisiti patrimoniali chiede per esempio alle banche di avere la liquidità necessaria per affrontare eventuali ondate di riscatti sui conti correnti.

Più costi per la banche. “A mio avviso, molte delle regole sono imperfette e mal calibrate. Se il progetto finale di Basilea III fosse attuato nella sua forma attuale, ostacolerebbe le banche americane: aumenterebbe del 25% il fabbisogno di capitale delle nostre imprese, rendendolo superiore del 30% rispetto alla proposta equivalente dell’Unione Europea”. Ciò significa che per ogni prestito o attività finanziata negli Stati Uniti da una grande banca americana, questa dovrà detenere il 30% di capitale in più rispetto a qualsiasi concorrente internazionale.

Più costi per tutti. Questo costo si trasmetterebbe automaticamente sui servizi offerti dalle banche rincarando 1) i beni di consumo 2) i mutui e i prestiti alle piccole imprese e ai risparmiatori e 3) i progetti infrastrutturali governativi e no.“So che potrebbe essere un pio desiderio, ma – suggerisce Dimon – sarebbe un buon momento per fare un passo indietro e rivedere in modo approfondito e sincero le migliaia di nuove norme approvate dopo la Dodd-Frank”. Il sistema bancario e le autorità dovrebbero mettersi intorno a un tavolo e capire quale direzione prendere, ma “con regole – dice Dimon – e linee guida più semplici e senza soffocare il nostro sistema”.

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