Dossieraggio, i servitori infedeli dello Stato e la responsabilità dei giornalisti

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Abbiamo il dovere di dare le notizie che sono utili all’opinione pubblica per sapere e capire, prendendone i rischi se sono riservate o coperte da segreto, ma abbiamo anche il dovere di sapere da dove arrivano. E perché vengono rivelate. Occorre compiere un’azione di responsabilità. Non siamo solo un canale che riporta acriticamente le news, e non possiamo essere la buca delle lettere di chi vuole strumentalizzare o mettere in pratica azioni destabilizzanti. Per questo ogni volta facciamo un doppio esercizio di accortezza: il primo nel decidere di pubblicare una notizia pur sapendo che quella storia ti può procurare dei guai giudiziari perché ritieni che l’interesse pubblico “a conoscere” sia prevalente; e il secondo ponendoci la domanda: con queste notizie chi me le fornisce mi sta usando? Quanto mi posso fidare dell’attendibilità della fonte? E dietro a questa storia che tipo di interesse c’è? Pubblicandole sarò parte, inconsapevole, di una manovra? Di un disegno strumentale?

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È molto comodo avere un infedele servitore dello Stato, che può usare la banca dati riservata e la può utilizzare ricavando dati a strascico. Perché non è mosso da un’indagine, dalle finalità legali, dentro la regola, o da una delega di un’autorità giudiziaria, ma invece opera per altre ragioni.

«Un’inchiesta giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza» diceva Giuseppe D’Avanzo, e aggiungeva: «Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica».

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Ci sono due elementi distinti, perché la pesca a strascico la fa il funzionario infedele. E il giornalismo in questa fase non c’entra. Sarebbe grave, invece, se il cronista avesse istigato a fare ricerche, ma non credo sia questo il caso.

E quindi non è un problema di libertà di stampa, di attacco all’informazione. Perché il giornalista fa il suo dovere. Qui siamo davanti ad un “traditore” che maneggia i file di archivi riservati e li usa per andare a vedere, a sbirciare dal buco della serratura, nel tentativo di trovare qualcosa di sospetto, fuori da qualsiasi procedura legale. E questo riguarda l’infedeltà e anche la fragilità delle strutture digitali giudiziarie.

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Poi interviene la questione del giornalismo, e qui bisogna chiedersi ancora se questo “infedele” ha utilizzato i file per ricattare qualcuno. E quindi continuare a porsi domande per capire se quello che è stato fatto è solo per dare le notizie ai giornali e per avvelenare l’aria. Oppure, ipoteticamente, per mettere in piedi una macchina di ricatti a vantaggio di qualcuno in cui il giornalista è stato inconsapevolmente fatto strumento. Non si può pubblicare tutto il ciarpame che arriva sul tavolo di un cronista.

Abbiamo il diritto di dare le notizie, quando queste hanno una rilevanza sociale e politica, ma abbiamo anche il dovere di chiederci se quelle notizie sono pulite o meno. Se sono le notizie “del diavolo”. Perché un giornalista può parlare anche con il diavolo ma non gli deve permettere di usare la tastiera per scrivere quello che lui vuole. In questa storia ci sono uomini dello Stato infedeli da una parte, e altri che hanno paura delle vere notizie.

Il giornalismo è sempre esercizio della responsabilità. Nell’interesse dei lettori, ma non è un interesse cieco e ottuso che tutto quello che passa davanti pubblica se non è un fatto riscontrato che ha valenza sociale, perché esercita una funzione di responsabilità. E questo deve continuare a essere il pilastro portante di chi vuole informare correttamente.

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