Guerre stellari, così Putin fa rinascere un incubo degli anni Sessanta

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Il 9 luglio 1962 nell’Oceano Pacifico per un attimo il cielo si è acceso della luce di una nuova stella. Il globo di fuoco era però uno spettacolo sinistro: una testata nucleare statunitense da 1,4 megatoni fatta scoppiare da un missile a quattrocento chilometri di altezza, segnando un altro primato nella corsa verso l’Armageddon. L’anno dopo Mosca e Washington siglarono la moratoria sui test atomici, mettendo un freno agli stregoni dell’apocalisse, e il record di quota raggiunto da quell’ordigno è rimasto imbattuto.

Il mistero della nuova minaccia russa

Ora però tutti stanno rievocando il test “Starfish Prime” per trovare una chiave di lettura alle rivelazioni top secret condivise ieri dal consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan con i quattro leader di partito del Congresso e quelli delle Commissioni che controllano i servizi segreti. Le indiscrezioni trapelate sui media forniscono pochi indizi per cercare di ricostruire l’allarme che preoccupa gli Stati Uniti: si tratterebbe di una minaccia russa che riguarda lo spazio, probabilmente relativa alla distruzione dei satelliti e alle testate nucleari. Non un pericolo immediato, ma qualcosa che “nel medio lungo termine” può condizionare la difesa degli Stati Uniti e quindi richiede una risposta della Casa Bianca. Un vero rebus, che alcuni analisti hanno voluto legare al lancio di un vettore Soyuz con un “carico classificato” entrato in orbita cinque giorni fa.

Ed ecco che molti hanno rispolverato la vicenda di “Starfish Prime”, sottolineando il particolare “danno collaterale” provocato dal fungo ad altissima quota: otto satelliti smisero di funzionare, incluso il primo destinato alle trasmissioni televisive di un network americano. Nel 1962 la colonizzazione dello spazio era appena iniziata – il volo di Gagarin ad esempio risaliva all’anno prima – e gli oggetti che ruotavano intorno alla Terra erano pochissimi: oggi invece un’esplosione nucleare di potenza anche inferiore a quell’altezza avrebbe ripercussioni catastrofiche, facendo strage dei sistemi che permettono comunicazioni e geolocalizzazione, oltre ovviamente allo spionaggio.

Ai tempi della Guerra Fredda più volte erano stati studiati piano per posizionare bombe atomiche fuori dall’atmosfera: lo scopo però era sempre la rappresaglia contro le città nemiche, cercando un grimaldello per scardinare l’equilibrio del terrore tra Usa e Urss e trovare la maniera per infliggere un primo colpo nucleare senza possibilità di replica. Non si pensava invece a un’arma orbitante contro i satelliti.

Le ricerche di Cina, Iran e India

Nella nuova competizione tra potenze grandi e piccole abbattere le centrali trasmittenti in orbita è diventata una priorità. Ci sono ricerche avanzatissime non solo del Pentagono e di Mosca, ma anche di Pechino, Teheran e Nuova Delhi. Vengono provati missili e raggi laser basati a terra e altri da schierare su “cannoniere spaziali” mentre i cinesi stanno sviluppando robot con braccia meccaniche che spostano o addirittura “rubano” i satelliti. Tutti preparano abbordaggi cyber per hackerare gli apparati e prenderne il controllo per via cibernetica. Le guerre stellari non sono più fantascienza, ma parte della pianificazione quotidiana di ogni stato maggiore, incluso quello italiano.

L’“esperimento” russo del 2021

Chi vuole farsi un’idea della corsa agli armamenti spaziali può leggere il volume di Frediano Finucci Operazione Satellite. I conflitti invisibili dalla Guerra Fredda all’Ucraina, dove è descritto l’esperimento più inquietante di tutti: il 15 novembre 2021 il Cremlino ha fatto scoppiare un vecchio Cosmos provocando una nube di 1.500 detriti, un’onda devastante di rottami che ha continuato a girare per settimane intorno al nostro pianeta, pronta a danneggiare antenne e strutture di qualsiasi altra apparecchiatura.

Una testata atomica farebbe molto peggio. Causerebbe un gigantesco effetto domino – spingendo i satelliti a scontrarsi l’un l’altro come in una colossale partita di biliardo – ma ci sarebbe anche quello delle radiazioni – in grado di mettere fuori uso batterie e computer – in un’area vastissima. Sarebbe uno strumento micidiale, che permetterebbe a Mosca di cancellare in un attimo la supremazia spaziale statunitense – e dare un brutto colpo pure ai cinesi – : un deterrente estremo, da usare soltanto in condizioni drammatiche. Ma tale comunque da pesare sui tavoli internazionali.

Putin d’altronde è convinto che sul fronte nucleare la Nato sia un passo indietro rispetto al suo arsenale e che le democrazie non sarebbero mai disposte a prendere in considerazione l’uso di armi così mostruose: si sente avvantaggiato e questo provoca una pericolosissima tentazione. La dipendenza dallo spazio delle reti militari e commerciali occidentali – pensate alla navigazione tramite Gps – viene vista dai generali russi come un elemento di vulnerabilità, che va sfruttato in ogni modo. Fino a dove si spingeranno? Arriveranno a piazzare la Bomba sulla testa dell’intera umanità? Il Pentagono sta già pensando di blindare i nuovi satelliti con scudi a prova di radiazioni. E nessuno si fa più illusioni: i campi di battaglia si stanno allargando fuori dall’atmosfera. Tutti hanno dimenticato l’inno alla pace di Yuri Gagarin, il primo uomo delle stelle, nei momenti più cupi della sfida atomica: “Da lassù ho potuto vedere la bellezza del nostro pianeta: salviamo questa meraviglia, non distruggiamola!”.

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