I segreti della cattura di “Sandokan” Schiavone: “Arrivammo a lui seguendo sua moglie. Si arrese ma aveva 2 kalashnikov pronti a far fuoco…”

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“Ci sono ancora parecchi misteri da chiarire sulla storia criminale del clan dei Casalesi: Schiavone quei segreti li deve per forza conoscere…”. Guido Longo, il poliziotto che scovò “Sandokan” con una indagine lunga, faticosa e vincente e un blitz infinito, sa perfettamente di cosa parla. Da capocentro della Dia investigò su quel regno camorristico portando a casa il migliore dei risultati possibili: la cattura del padrino. L’ex questore di Palermo, Reggio Calabria e Caserta, ora in pensione, racconta come finì la fuga della giustizia del capoclan e si augura che “adesso parli senza reticenze”.

Longo, sembrava un fantasma “Sandokan”, come ci siete arrivati?

“La moglie è stata decisiva. Seguendo Giuseppina Nappa lo abbiamo scovato. Andava nel suo rifugio, talvolta con i figli. Ma, potete immaginarlo, non era facile stargli dietro senza che se ne accorgesse. Dunque, piano piano avevamo individuato l’area, a Casal di Principe. Non restava che capire esattamente in quale edificio fosse”.

Avevate avuto qualche soffiata? L’indicazione di un pentito?

“No. Zero. Con gli uomini della Dia che dirigevo a Napoli è stata una indagine classica, niente pentiti e niente soffiate”.

E arriviamo al blitz infinito…

“Già, 10 luglio 1998, difficile dimenticarlo. La moglie e i figli del capoclan non erano nella loro casa di Casal di Principe. Per esserne sicuri ripetemmo la perquisizione in piena notte: niente. Non c’erano. A quel punto non abbiamo avuto dubbi, doveva essere lì, da qualche parte con il marito in una villetta che poi si trova a circa trecento metri di distanza in linea d’ara dalla sua abitazione”.

Ma perché fu tutto lunghissimo?

“Siamo arrivati in quel posto alle 21 e solo alle 12 e 30 del giorno dopo abbiamo avuto la certezza di aver preso il latitante. Quindici ore o giù di lì prima dell’arresto. Avevamo perquisito la casa da cima a fondo ma sembrava che non ci fosse. E infatti non c’era».

Esattamente dove si nascondeva?

“Il punto cruciale era una casupola dove venivano conservati attrezzi agricoli di piccolo cabotaggio. Lì sotto c’era lui. Ma ce ne accorgemmo soltanto alle prime luci dell’alba quando vedemmo che c’erano delle prese d’aria che mal si conciliavano quel box. A cosa potevano servire se non a un locale sotterraneo?”.

E’ stata la svolta…

“Sì, abbiamo chiamato i vigili del fuoco perché con le motoseghe abbattessero le pareti di quel ripostiglio e quando “Sandokan” e i suoi hanno sentito il frastuono dell’intervento che stavamo eseguendo si sono immediatamente arresi. Abbiamo anche lanciato dei lacrimogeni in quelle condotte. Lui, il boss, allora prese a urlare: “Non sparate, ci sono i bambini, tranquilli, tranquilli, non sparate! Io sto qui, sto qui!”. Così si arrese, ma per entrare nel covo fu necessario ancora intervenire su una grossa pietra che si muoveva soltanto con uno scorrimento idraulico. Insomma, avevano pensato a tutto, quasi a tutto…”.

Dal superboss nessuna reazione.

“Un momento: a fargli compagnia là sotto aveva ben due kalashnikov con tanto di caricatori doppi legati con lo scotch. Insomma, non avesse avuto moglie e bimbi con sè non escludo che avrebbe aperto un conflitto a fuoco. D’altronde lui era un camorrista abituato a sparare”.

Le disse altro nel tragitto che lo portava negli uffici della Dia?

“Restò in assoluto silenzio”.

Un silenzio che ora ha deciso di rompere…

“Quelli vissuti dal boss dei Casalesi furono anni di estrema collusione. Mi auguro che adesso dica quello che sa su tanti nodi irrisolti e, dal punto di vista della ricostruzione criminale, sulla fine di un altro padrino di primo piano, Antonio Bardellino, attorno al quale girano ancora diversi misteri irrisolti”.

Può aprire scenari sconosciuti dunque, “Sandokan”?

“Sì, perché lui è stato un capo, un capo assoluto di una cosca dominante ed è al corrente di tanti ingranaggi che non sempre le indagini riescono a focalizzare nonostante il massimo impegno degli inquirenti”.

Si riferisce?

“Prima di tutto alla enorme potenza economica dei Casalesi costruita sui lucrosi appalti del post terremoto. La loro forza parte da lì. E poi si espande. E Sandokan lo sa bene…questo e molto altro”.

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